E' uscito il numero 14 di Voci di Dentro. Molti dei testi sono riflessioni sul proprio vissuto e ricordi d'infanzia. Storie familiari passate e presenti, con uno sguardo al futuro...con speranze e fiducia. Il numero si intitola Le Vite degli Altri.
Qui l'editoriale di Francesco Lo Piccolo:
Per noi non ci devono essere muri. Soprattutto i muri interiori. E questo perché siamo convinti che non ci sono un noi e un loro, e non ci sono Altri da cui difendersi o da attaccare, conquistare o educare alla democrazia. Eppure questa volta, volutamente, in copertina abbiamo usato la parola Altri. Lo abbiamo fatto per raccontare Le Vite degli Altri che non sono quelle della foto con la famiglia ricca e felice con bambini adorati, auto di lusso, cani di nobile razza e governante, ma quelle reali, anche magari solo sognate, inseguite, copiate da questo o quel modello. Le vite dei detenuti. E non siamo noi a raccontarle, ma sono loro a raccontarsi. In prima persona. E a leggere si scopre quello che è ovvio. Che sono vite uguali a quelle di tutti: sono vite di padri e di figli che per poco, molto poco, sono finiti in carcere, appunto tra e con gli Altri. Finiti lì perché quello era l'ambiente in cui erano cresciuti e quella era la radice della loro esistenza, una radice che è come un marchio, come la stigma dell'ex detenuto, un marchio in una società congelata, disuguale e immobile dal punto di vista sociale, dove ancora oggi chi è figlio di notaio diventa notaio e chi è figlio di camorrista o rapinatore non può far altro che fare il lavoro del camorrista e del rapinatore, eccezioni a parte. Diventati quello che sono anche per scelta, se è stata davvero una scelta. Oppure finiti in carcere per il solo desiderio di cambiare, di lasciare miserie o guerre, e invece ricacciati indietro - scaduti dopo l'uso - e trasformati in clandestini e illegali, abbandonati alle organizzazioni criminali, in forza di leggi illegittime sia dal punto di vista giuridico (l'emigrazione è un diritto) che da quello morale. Pagina dopo pagina si scopre ancora quello che è ovvio: che sono Vite messe ai margini e non raccontate per quello che veramente sono, dipinte come emergenza quando l'emergenza non esiste visto che il numero dgli omicidi (500-600 all'anno in Italia- stime 2009) è in continua scesa. Vite sbattute a raffica sui giornali e sulla Tv della paura, riesumate a distanza di anni, sezionate e ricostruite con tanto di plastici dell'orrore. Dimenticando che una cosa è l'errore e un'altra cosa è l'errante il quale, come recita l'enciclica "Pacem in terris" è un essere umano, che conserva in ogni caso la sua dignità di persona e va considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Le Vite degli Altri sono anche vite sprecate, spesso distrutte, con gli affetti frantumati, figli e padri perduti, dimenticati nel vuoto e nel dolore. Vite separate giorno dopo giorno, come una pena che si aggiunge alla precedente. Con il risultato che ci sono figli che vanno a trovare i padri e che a loro volta, diventati grandi, riceveranno in carcere la visita dei loro figli. Con il risultato che nelle carceri italiane ci sono 59 donne madri che hanno in cella i loro figli piccoli sotto i tre anni. Vite disuguali per le quali il carcere non è e non sarà mai un deterrente. O comunque in misura del tutto inferiore ai risultati che invece si ottengono da pene alternative, affidamento, domiciliari. Le Vite degli Altri sono qui in queste pagine per dirci molto di più. Per dirci, tra l'altro, di come i figli pagano le colpe dei genitori, ma anche e soprattutto che alla fine c'è sempre un momento in cui un figlio chiederà scusa sapendo che “per quanto si possa cambiare - per fare il verso a Ben Affleck in The Town - nella vita bisognerà sempre pagare per ciò che si è fatto”. Perché come dice tra sé l'Ulisse Bernardini in Sangue mio “il destino è come la giustizia, ma non quella delle corti d'assise, ma quella scritta da una legge ben più interiore secondo la quale quando uno sceglie la propria vita sempre alla fine mette in conto che le proprie azioni finiscono in una bilancia in cui tutto si riequilibra...e quel momento devi avere il coraggio di affrontarlo”.