martedì 27 settembre 2022

Contro la strage nelle carceri

 


Comunicato stampa sulla strage nelle carceri a firma di Sbarre di Zucchero, Nessuno Tocchi Caino, Voci di dentro, Diritti umani dei detenuti calpestati da uno stato assente, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Ristretti Orizzonti. Di fronte a numeri così impressionanti - 65 suicidi dall’inizio dell’anno, uno ogni 4 giorni - denunciamo la disumanità di un sistema che non riesce ad avere attenzione e cura degli esseri umani che gli sono affidati. Il carcere non può essere una sorta di pattumiera dove gettare tutti assieme malati, disagiati, disoccupati, emarginati, stranieri, dipendenti da sostanze, giovani vittime di chi li ha trasformati in manovali della criminalità per i suoi profitti.      In undici punti le nostre richieste.

Prime adesioni: Associazione (R) esistenza Anticamorra, Movimento madri doppiamente disperate, Associazione Loscarcere OdV, Happy Bridge Odv, Associazione Recidiva Zero, Associazione il Viandante, Associazione Il Coraggio, Gioco di squadra OdV, Folsom Prison Blues, Comitato Riforma Giustizia.

altre adesioni al 28/09/2022: ARCI sezione carcere, gruppo Fb "Dalla parte dei detenuti" , Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Friuli Venezia Giulia, Il Carcere Possibile Onlus

altre adesioni al 30 settembre: Organizzazione di volontariato penitenziario nazionale CRIVOP ITALIA ODV


Per nuove adesioni scrivere a: sbarredizucchero@gmail.com

COMUNICATO STAMPA

Mai più una/uno di meno

Non si ferma la strage nelle carceri italiane. Dall’inizio dell’anno, in questi 8 mesi e 25 giorni, 65 persone si sono uccise nelle loro celle: 16 avevano tra i 20 e i 37 anni, 8 avevano oltre cinquant’anni, tra loro quattro donne. Una persona ogni 4 giorni ha infilato la testa attorno a un cappio o ha inalato il gas del fornellino. Nel solo mese di agosto una persona si è suicidata ogni due giorni. Morti di solitudine, paura, disperazione, angoscia. Perché senza speranza. Morti di galera.

Persone diventate vittime di un sistema carcere mantenuto in piedi, nonostante i suoi risultati spesso fallimentari, da chi non vuole vedere e da chi non sa gestire  il disagio con i giusti strumenti di una società civile, che dovrebbero essere innanzitutto medici, educatori, insegnanti. E poi con politiche per l’inclusione e per l’inserimento sociale e lavorativo. Morti di galera (certo sappiamo bene che non tutte le carceri sono uguali, ma il dolore è tanto ovunque, e anche la solitudine, e la scarsa attenzione per gli affetti delle persone detenute). Morti in una galera dove con la morte e la sofferenza si convive giorno dopo giorno.

Per questo motivo ci facciamo portavoce delle compagne e dei compagni di queste 65 persone che si sono tolte la vita e delle persone che soffrono nelle carceri italiane, bollenti in estate e gelide in inverno, dove è pesante il degrado reso ancor più insopportabile dal sovraffollamento, e denunciamo la disumanità di un sistema che non riesce ad avere attenzione e cura degli esseri umani che gli sono affidati.

Chiediamo oggi con forza, come del resto lo facciamo da tanto tempo, che la società non si volti dall’altra parte (non tutta ma tanta parte lo fa) e che si renda conto che, suicidio dopo suicidio, si sta reintroducendo di fatto la pena di morte cancellata con l’entrata in vigore della Costituzione italiana il 1 gennaio 1948. Allo stesso tempo chiediamo che sia finalmente applicato l’articolo 27 della Costituzione al secondo e al terzo comma dove si afferma che  “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva e che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Vogliamo che il dolore che queste 65 persone hanno manifestato rinunciando alla propria vita sia finalmente ascoltato e sia messa fine a questa strage, che può terminare quando il carcere cesserà di essere una sorta di pattumiera dove gettare tutti assieme malati, disagiati, disoccupati, emarginati, stranieri, dipendenti da sostanze, giovani vittime di chi li ha trasformati in manovali della criminalità per i suoi profitti.

 Chiediamo innanzitutto

• che si combatta in tutti i modi l’isolamento del sistema carcere, favorendo sempre di più l’ingresso negli istituti della società civile;

 • che le donne in carcere siano rispettate e non schiacciate in un sistema e una organizzazione prettamente maschili;

 • che diventi realtà l’affermazione che nessuna mamma con bambino deve più stare in cella; lo si è detto troppe volte, è ora di tradurlo in pratica;

 • che sia agevolata l’organizzazione di corsi e laboratori gestiti dalle associazioni di volontariato, e la vita delle carceri non finisca alle tre del pomeriggio, come succede ancora in moltissimi istituti;

 • che il sistema sanitario prenda in carico davvero le persone e le curi come meritano tutti gli esseri umani, e che ci si ricordi sempre che chi è malato gravemente non deve stare in carcere;

 • che vengano aumentate le ore di colloqui settimanali e liberalizzate le telefonate come accade in molti paesi d’Europa, con telefonini personali per ciascun detenuto abilitati a chiamare parenti e avvocati: non si tratta di un lusso, ma di un po’ di umanità e di rispetto della sofferenza, anche quella delle famiglie;

 • che vengano assunti in misura adeguata operatori, come psicologi ed educatori, che oggi sono del tutto insufficienti;

 • che venga depenalizzato il consumo di sostanze stupefacenti, perché la legge attuale sulle droghe porta spesso in carcere persone che non ci dovrebbero stare;

 • che venga posto un limite all’uso della custodia cautelare - un vero e proprio abuso visto che l’Italia è il quinto Paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare, il 31%, ovvero un detenuto ogni tre;

 • che venga rispettato lo stesso Ordinamento penitenziario, che a più di quarant’anni dalla sua emanazione è ancora in parte inapplicato, come ad esempio là dove parla di Consigli di aiuto sociale, che dovrebbero occuparsi del reinserimento delle persone detenute nella società e non sono mai stati istituiti;

 • che vengano sviluppati e rafforzati programmi per il reinserimento delle persone che escono dal carcere con le misure di comunità, che poi sono l’unico modo vero per porre un freno alla recidiva.

 

Potremmo continuare all’infinito, perché tante sono le richieste e altrettanti sono i diritti continuamente violati.

Alla base di tutto restano però dei principi di civiltà: la sicurezza si raggiunge facendo prevenzione, la prevenzione si fa migliorando la qualità di vita nelle carceri.

 La strage di quest’anno deve cessare. Mai più una/uno di meno.

 

Sbarre di zucchero, Nessuno Tocchi Caino, Voci di dentro, Diritti umani dei detenuti calpestati da uno stato assente, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Ristretti Orizzonti

 


Per adesioni scrivere asbarredizucchero@gmail.com 


mercoledì 21 settembre 2022

La sicurezza si raggiunge facendo prevenzione

 

COMUNICATO STAMPA

 

La sicurezza si raggiunge facendo prevenzione 

La prevenzione si fa migliorando la qualità di vita nelle carceri

 

Di nuovo allarme in carcere e sui media per l’aggressione subita da un agente di polizia per mano di un detenuto. E di nuovo il solito ritornello per il potenziamento degli organici della polizia. Voci di dentro, che conosce bene la realtà, ritiene che le cose debbano essere affrontate da ben altri punti di vista e non certo in un’ottica esclusivamente sicuritaria che non risolve un bel nulla.

Da tre mesi i 1848 detenuti richiusi negli istituti abruzzesi non fanno attività trattamentali, la scuola è ancora chiusa, i laboratori delle associazioni di volontariato non sono ancora ripartiti, il lavoro è ridotto al lumicino. E così 24 ore su 24  i 1848 detenuti sono abbandonati a sé stessi, confinati nelle celle o nei corridoi. Tanti senza futuro e speranza. Tanti (il 70 per cento almeno) sotto terapia tipo Tavor, Valium, Depakin, Rivotril e chissà quale altro psicofarmaco. Abbandonati a se stessi, privi di contatti con le loro famiglie se non per una telefonata di 10 minuti a settimana e a un colloquio di un’ora non tutte le settimane. Bisognosi di tutto, anche di una lettera che tarda ad arrivare o di un pacco viveri di tanto in tanto. Praticamente inesistenti anche gli incontri con gli educatori (appena 4 a Pescara a fronte di 345  detenuti; solo uno a Chieti più un secondo ma solo per due giorni a settimana a fronte di 110 detenuti).

Facile dire (soprattutto per creare allarme) che l’aggressore dell’agente è un detenuto con problemi psichiatrici… Più difficile capire (ma per questo ci vuole più cervello, meno muscoli, e nessun interesse elettorale o di bottega) che  soggetto psichiatrico spesso lo si diventa per dipendenze e perché si viene ristretti in condizioni disumane, perché i medici (anche loro ridotti all’osso, in media gli psichiatri hanno a disposizione per detenuto appena 5 minuti a settimana – dato di Antigone) alla fine sono costretti a barcamenarsi tra il prescrivere o il cercare di contenere l’abuso di psicofarmaci o dire no alle  richieste degli stessi detenuti (e in parte anche degli agenti)  tipo “una pillola dottore, altrimenti non sto tranquillo”. Più difficile capire che una telefonata di 10 minuti in più alla famiglia (telefonata negata all’autore dell’aggressione in carcere a Pescara) può allentare un po’ di tensione. Telefonata vitale. Come ha rimarcato lo stesso capo del Dap, Renoldi. Ricordiamo qui che nelle carceri italiane ci sono stati mille tentati suicidi, che nel solo nel mese di agosto si è ucciso un detenuto un giorno sì e uno no;  che dall’inizio dell’anno si sono uccise 62 persone, uno ogni 4 giorni. Suicidi… anche se noi non li chiamiamo suicidi. Troppo facile definirli così.

In conclusione,  al posto del solito e inutile allarmismo, Voci di dentro ribadisce: più educatori e psicologi; più attività trattamentali e laboratori; più apertura al mondo esterno e più contatti; più lavoro e meno tempo perso. E poi più posti nelle Rems (oggi solo 20 in Abruzzo). Questo per riportare la Costituzione dentro il carcere e per garantire in primis la sicurezza degli stessi detenuti ma anche quella della Polizia Penitenziaria. Sapendo bene che è solo tramite la convergenza tra un potenziamento del lavoro psicopedagogico e quello prettamente di sorveglianza della Polizia Penitenziaria che si può auspicare un cambiamento del sistema carcere.