mercoledì 30 novembre 2022

La gogna mediatica e gli effetti collaterali

di LUIGI MOLLO

La gogna mediatica “è un processo parallelo punitivo quanto il processo penale”, perché “arma” l’opinione pubblica che non è in grado di utilizzare quelle “armi” in maniera corretta. Nel sistema giudiziario italiano, ci sono già norme che possono evitarlo. Quando si crea l’aspettativa della condanna serve un giudice coraggioso per assolvere anche attraverso un equilibrio nell’informazione che lo renda libero di decidere.

L'editoriale

 In stampa il nuovo numero di voci di dentro.  64 pagine sul carcere, sulle sofferenze, sui suicidi arrivati a quota 81 da inizio 2022, su Iran, su Russia e sul nostro giornalismo, giornalismo d’emergenza


di ANTONELLA LA MORGIA

Se esiste un giornalismo d’emergenza, tal quale la medicina che presta il soccorso urgente e interviene in situazioni critiche come i terremoti, è arrivato il momento di essere quel tipo di giornalisti. È arrivato il momento di presidiare, medicarne le ferite, salvandola dagli attacchi, il poco di professione militante che resta e che sempre molto ha da dire (salvo essere messa a tacere), stando a fianco di chi, se ha scelto di raccontare la verità offrendone le fonti, lo ha fatto fedele a un compito: informare è abbattere i segreti che avvolgono il potere, perché la trasparenza è il presupposto della democrazia.

Sartoria sociale, come ricucire un futuro per abiti e persone


È la prima impresa sociale nata a Palermo in un bene confiscato alla mafia. Una realtà imprenditoriale che offre una opportunità concreta di lavoro a persone svantaggiate o in situazioni di disagio




di Claudio Bottan

Tutti abbiamo avuto le nostre difficoltà. Anzi, “tutti siamo ex di qualcosa” ama ripetere Rosalba Romano, socia fondatrice e volontaria della cooperativa sociale Al Revés di Palermo che ha dato vita a “Sartoria sociale”. Si tratta di un’impresa nel campo del riciclo tessile e sartoriale, che ha sede in un bene confiscato alla mafia e gestisce anche un laboratorio di cucito presso la casa Circondariale Pagliarelli. “Siamo persone che non si vergognano di ammettere le proprie debolezze - aggiunge Rosalba - e che, nello spirito di una rete di solidarietà, si danno e danno una mano. Prova ne è che il nostro servizio non ha chiuso nemmeno un giorno durante la pandemia, che abbiamo affrontato producendo mascherine e portandole ovunque. Siamo persone qualsiasi, cittadini che hanno scelto di non cedere alla crisi depressiva”. 

AM@NETTA, quando il lavoro e la creatività rimettono in carreggiata


Le “t-shirt a due ruote” del carcere di Novara che piacciono ai bikers

di Claudio Bottan

Il tempo libero è il problema dei carcerati! Così pensava il garante dei detenuti del comune di Busto Arsizio durante i primi mesi di incarico, dopo un anno in cui aveva gestito, come volontario, una piccola redazione interna alla casa Circondariale cittadina. Agli occhi di Matteo Tosi, in quei pomeriggi “al fresco”, niente, nemmeno il famigerato sovraffollamento, era sembrato più disumano e disperante dell’essere buttati lì, parcheggiati a non fare niente, senza possibilità di essere utili né di impegnare la testa: davvero “a marcire”, come si augurano solo certi peggiori. Ed era convinto che l’articolo 1 della Costituzione gli desse ragione.

lunedì 21 novembre 2022

Ottanta morti. Una strage


di CLAUDIO BOTTAN

Nelle carceri italiane si sta consumando una strage silenziosa. Qualcosa che mi rimanda continuamente indietro nel tempo, a corpi gettati oltre le sbarre.

 «Mister Robert Sands, un prigioniero nel carcere di Maze, è morto oggi alle 1,17 del mattino. Si è tolto la vita rifiutando cibo e cure mediche per sessantasei giorni». All’alba del 5 maggio 1981 un conciso comunicato del governo britannico annunciava al mondo che l’ineluttabile destino del leader dei ribelli irlandesi si era compiuto. Bobby Sands aveva iniziato uno sciopero della fame come protesta estrema per rivendicare lo status di prigioniero politico che gli era stato negato da Londra, e per affermare il suo desiderio di libertà si era lasciato morire a soli 27 anni. 

Ottanta morti, ottanta persone, ottanta storie. Nelle carceri italiane si sta replicando la storia: persone, individui, fragilità che trovano libertà nella morte gettata in faccia a chi non vuole vedere. Corpi che volano oltre le sbarre e si schiantano sulle nostre coscienze come estrema protesta per attirare l’attenzione sulla solitudine, sulla fragilità, sul disagio psichico degli ultimi. Corpi che pesano.