mercoledì 25 marzo 2020

Lettera dal carcere di Madonna del Freddo (Chieti)


ALMENO LIBERI DI VIVERE

Questo è un urlo straziato che viene dal profondo delle nostre anime. In questo tempo di pandemia tutti voi state provando la privazione: tutti i diritti vengono meno e bisogna solo adempiere a doveri così rigidi che forse, anche se in piccole dosi, ora anche voi state assaggiando cosa vuol dire essere prigioniero.

Questo “nuovo decreto svuota carceri” tutto è tranne che nuovo: esiste già uno strumento legislativo chiamato sfolla carceri ed è “la 199”, che  tutto ha fatto tranne che sfollarle. Altro che indulto mascherato, tanto che il numero di detenuti si aggira attorno alla cifra di 60000 unità. Questo nuovo testo non ha apportato nessuno cambiamento, a parte che lì fuori ha dato una sensazione di aver fatto qualcosa per “quei criminali che hanno distrutto le prigioni” e non è neanche vero!

lunedì 23 marzo 2020

METAMORFOSI, IL NUOVO NUMERO DI VOCI DI DENTRO

copertina speciale n.30
E' on line il numero speciale di Voci di dentro realizzato (in questi tempi di emergenza) utilizzando Skype e telefono. Dal carcere gli scritti ci sono arrivati per posta ordinaria o sono stati dettati ai familiari durante i colloqui telefonici. Tutto il lavoro è frutto dell’impegno di volontari e di esperti che conoscono a fondo gli istituti penitenziari. Non è stato facile, ma il risultato di questo lavoro sono queste 40 pagine. Troverete gli articoli dei detenuti  delle redazioni di Chieti e Pescara dove scrivono delle loro paure, dei loro desideri e delle loro proteste ancora in atto per ottenere dignità, salute e sicurezza. E ci sono le emozioni e i pensieri dei volontari dell’Associazione e le analisi dei nuovi autori di Voci di dentro come lo scrittore Giovanni D’Alessandro, la professoressa Luana Di Profio, Desirè  Memme, Simona Galante e Internal Observer, pseudonimo con il quale (da oggi) si firma un autorevole dipendente dell’Amministrazione penitenziaria.

sabato 14 marzo 2020

Il carcere al tempo del Coronavirus…come vuotare il mare con paletta e secchiello


Comunicato - Il carcere al tempo del Coronavirus…come vuotare il mare con paletta e secchiello

                      Casa circondariale di Pescara: oltre 400 detenuti in una struttura che ne può contenere 270

Casa circondariale di Chieti: oltre 150 detenuti in una struttura che ne può contenere 79

Casa circondariale di Lanciano: oltre 300 detenuti in una struttura che ne può contenere 230

Casa circondariale di Teramo: oltre 430 detenuti in una struttura che ne può contenere 250

Casa di reclusione di Sulmona: oltre 450 detenuti  in una struttura che ne può contenere 303

Sono cominciate anche in Abruzzo, seppure con molta lentezza, le prime azioni di buon senso inviando ai domiciliari persone con pene residue al di sotto dei 18 mesi e detenuti anziani o con gravi patologie. Una corsa ai ripari  in grande affanno per una grave carenza di funzionari giuridici pedagogici (appena 30 su una popolazione di circa 2 mila detenuti), cancellieri del tribunale, magistrati di sorveglianza ora tutti impegnati nell’avvio di pratiche per la chiusura delle sintesi comportamentali e di verifiche dei requisiti. All’improvviso, di fronte all’emergenza, si fanno i conti con un sistema penale più attento alla punizione che alla rieducazione.

Molte e gravi le criticità: nel carcere di Chieti scarseggiano prodotti per l’igiene (rinnoviamo l’invito a enti, associazioni, aziende di portare direttamente in carcere, in via Ianni, saponi, detersivi e disinfettanti, specificando in portineria “offerta con Voci di dentro per i detenuti di Chieti”); nel carcere di Pescara personale medico allo stremo e insufficiente (1 medico e 1 infermiere per turno, 1 specialista a settimana) e detenuti con la febbre “curati” con tachipirina ma non isolati dagli altri; sempre a Pescara chiusi i semiliberi e gli articoli 21; agenti di polizia insufficienti: 1 ogni tre sezioni. Un ispettore ci dichiara: “cerchiamo di parlare con i detenuti, facciamo del nostro meglio, ma la preoccupazione del contagio è altissima”. Una parente di un detenuto: “Le telefonate quotidiane di 10 minuti sono assicurate, almeno quelle, ma Skype non funziona”.

Dal carcere di Chieti scrivono: “ Non è vero che la nostra protesta nasce dalla sospensione dei colloqui con i nostri famigliari: siamo in grado di capire e sufficientemente consapevoli che il blocco dei colloqui è stato deciso per ridurre le possibilità di contagio anche con i nostri cari. Protestiamo con la battitura serale per il diritto alla salute, diritto che ognuno di voi ha ed a noi non viene tutelato. Siamo spaventati a dover immaginare cosa succederebbe nel nostro carcere in caso di contagio da Coronavirus, qui dove conviviamo in 6 o 7 in celle di circa 20 metri quadri. Voi che siete fuori potete disporre di 1 metro attorno evitando gli assembramenti e riunioni; e noi? Possiamo vivere accalcati, ammassati come gregge in un ovile? Possiamo correre il rischio di ammalarci perché siamo detenuti? E questo quello che una società civile ha inserito nel decalogo di vita?

Desideriamo e richiediamo con fermezza che questo tragico momento possa spingere verso una soluzione vera e definitiva di questo sistema carcerario che nei suoi comportamenti punitivi è il più retrogrado tra i paesi civilizzati, prova ne sono le sanzioni ricevute dalla Corte Europea. Per questa ragione è stato indetto lo sciopero della fame, che è in vigore da lunedì 9 marzo. Abbiamo sospeso già da domenica sera l’acquisto dei generi di sopravvitto e per dimostrare coerenza con le nostre dichiarazioni abbiamo inviato alla Caritas di Chieti quanto ognuno dei detenuti aveva come scorte alimentari”.

domenica 8 marzo 2020

EMERGENZA CORONAVIRUS - COMUNICATO DI VOCI DI DENTRO



EMERGENZA CORONAVIRUS -  COMUNICATO DI VOCI DI DENTRO

Nelle condizioni in cui si trovano oggi le carceri italiane (scarsità di cure adeguate, sovraffollamento, acqua calda spesso razionata, poca igiene), per evitare epidemie al suo interno anche in considerazione della fragilità della popolazione con il conseguente trasferimento d’urgenza in ospedale di decine di detenuti eventualmente affetti da Coronavirus  - aggravando perciò il sistema sanitario nazionale sempre più a corto di posti letto e di sale di rianimazione (dopo i tagli alla sanità di questi ultimi anni) -  questi dovrebbero essere i provvedimenti da avviare immediatamente:

1) scarcerazione e invio ai domiciliari di anziani, malati gravi terminali, persone con disfunzioni cardiache o affetti da Aids e epatiti, come del resto dovrebbe essere se davvero si volesse tutelare il diritto alla salute, il rispetto della dignità e l’umanizzazione del trattamento, come è garantito dalla Costituzione, dalla riforma del 1975, dalla legge Gozzini del 1986, dal nuovo regolamento penitenziario del 2000, dalle  tante Raccomandazioni del Consiglio d’Europa;

2) indulto per tutti i detenuti con pene inferiori ai tre anni, provvedimento che riguarda ad esempio persone che hanno già scontato 28 anni e ne devono scontare solo due, oppure persone che sono state recentemente incarcerate per un cumulo di pena di uno, due o tre anni e per un fatto magari accaduto dieci anni prima. Per essere precisi:  8.682 le persone che hanno da scontare in carcere ancora un periodo inferiore a un anno, 8.144 con un residuo di pena di due anni e 6.171 persone che devono restare ancora in carcere per un periodo fra i due e i tre anni;

3) scarcerazione di 54 mamme e dei loro 59 bambini attualmente detenuti in 9 istituti, mettendo così in pratica le tante inutile promesse (“mai più bambini in carcere”) che da almeno un decennio hanno fatto tanti ministri, politici, governanti vari, di tutti i partiti, di tutti i  colori. Nel frattempo, in carcere, quei 59 bambini la prima parola che hanno imparato a dire non è stata “mamma”, ma “ispettore apri”.

4) blocco dei nuovi ingressi per reati minori, pregressi e cumuli di pena,

5) provvedimenti di detenzione domiciliare,

6) affidamento ai servizi sociali del maggior numero di detenuti.

In definitiva  un’azione deflattiva che: 1) eviterebbe concretamente un’altra eventuale emergenza oltre a quella che sta già sopportando l’Italia, 2) verrebbe realmente incontro (e non con divieti o palliativi) alle paure che ci sono tra i detenuti e tra i loro familiari, 3) permetterebbe ai detenuti rimasti all’interno degli istituti di avere cure più adeguate e maggiori possibilità di colloqui via skype e via telefono con i loro parenti.



Il direttivo dell’Associazione Voci di dentro                                                               Chieti, 08/03/2020