lunedì 10 giugno 2013

In visita al carcere di Ljubljana

Visita al carcere di Ljubljana nell’ambito del progetto “Voices from inside”,  progetto finanziato dalla Comunità Europea e che ha visto insieme in un partenariato di apprendimento Grundtvig le associazioni Voci di dentro e Città dei giovani di Firenze, le organizzazioni Agapao-Kris di Siauliai (Lituania), Hotelcilik di Diyarbakir (Turchia) e Papilot di Lubiana (Slovenia), progetto riguardante il mondo carcerario con la realizzazione di iniziative volte al recupero e reinserimento di detenuti ed ex detenuti e a rimuovere nella società gli ostacoli costituiti soprattutto da pregiudizi e stereotipi.



testo di Stefania Ortolano (collaborazione di Giuliana Agamennone)

“Non vi aspettate scene da film americani”. Il motivetto si ripete anche quando entriamo nell’istituto o di pena a Ljubljana. Ad avvertirci è la nostra guida Fulvio, funzionario pedagogico di origini italiane. Si trova lì da vent’anni.

Che stiamo per iniziare una visita molto tranquilla lo si capisce già dal nostro primo ingresso, che avviene senza passare dai controlli, senza depositare nulla. Si fidano.

Nelle celle di Zavod Za Prestajanje Kazni Zapora di Ljubljana, poco distanti dal centro della città, ci sono i detenuti in custodia cautelare, quelli già processati in attesa di essere smistati, quelli che scontano pene fino a trent’anni (non ci sono ancora ergastolani). La struttura, diretta da Miran Candellari, può contenere 128 reclusi; attualmente ne ha circa il doppio. Provengono prevalentemente dalla Slovenia e dalle altre regioni della ex Jugoslavia, dalla Romania, dalla Bulgaria e dall’Italia. Tra i reati contestati ci sono quelli legati a droga e possesso di armi. Ma, come rivela il funzionario educativo, nel suo gruppo tempo fa c’era anche un componente della banda della Magliana. L’80% della criminalità slovena passa in questo carcere, inclusa quella che finisce a Dob, la più grande prigione del Paese.
L’edificio che ci ospita per più di un’ora funziona dal 1962, da quando non è più monastero delle monache. Prima ancora era un ospedale militare, come suggerisce il corridoio con le celle/stanze ai lati. La nostra visita comincia dalla cucina: sono circa le dieci e alcuni detenuti si accingono a preparare il pranzo. Lo consumeranno tra le 14 e le 15: in mensa se detenuti, in cella se in custodia cautelare. Da qui ci spostiamo nella piccola palestra dell’istituto: c’è qualche attrezzo fatiscente e dalla finestra osserviamo due gruppi nell’area esterna.
E’ l’ora d’aria.
C’è un divisore tra chi è in custodia cautelare e chi è detenuto. Il filo spinato attorno e la tecnologia ormai garantiscono la quasi impossibilità di fuga, anche se da fuori la droga arriva eccome. “Ogni tanto si vedono pacchetti volare da una finestra all’altra” rivela Fulvio. Altri aneddoti del passato: un telefonino trovato dentro il barattolo della Nutella arrivato da fuori e una dose di eroina chiusa dentro a un preservativo. “Non possiamo controllare i visitatori anche nelle parti intime, per quello c’è bisogno di permessi  speciali” specifica la guida. Guardando fuori verso l’aiuola, l’unico ostacolo tra la detenzione e la libertà è solo una ringhiera. Da anni non la scavalcano più.
Finalmente saliamo nelle celle. Osserviamo la presenza di due regimi: aperto, quando i detenuti possono muoversi da una cella all’altra durante la giornata; chiuso quando le porte delle celle restano chiuse, per chi è in custodia cautelare. Da un anno anche il regime chiuso prevede l’apertura delle porte per quattro ore al giorno. Non ci sono regimi separati e il reparto dei pentiti non esiste ancora. Non ci sono neanche ergastolani poiché l’ergastolo è stato introdotto da due anni.
Quando entriamo in una cella sono tutti fuori: abbiamo cinque letti di legno, due a castello. La musica esce da uno stereo anni ottanta. E’ tutto pulito e ordinato, persino colorato, grazie alle foto e ai disegni alle pareti. L’ambiente è piccolo. Nel reparto semi-aperto le porte non sono blindate.
Per i detenuti prossimi alla liberazione le porte sono sempre aperte. Le celle sono da cinque, chi è ritenuto pericoloso sta solo. Non ci sono tassi rilevanti di suicidi all’interno della prigione di Lubiana. “Tuttavia, a ottobre scorso un detenuto si è impiccato” ricorda Fulvio che si occupa del coordinamento per problemi relativi ad autolesionismo, tentati suicidi, eccetera.
La visita prosegue con una toccata e fuga negli uffici dei pedagogisti e nella piccolissima biblioteca Il reparto visite è occupato per cui non possiamo entrare. Ci fermiamo in una grande stanza a parlare delle attività offerte ai detenuti. Non molte perché, tanto per cambiare, le possibilità materiali scarseggiano.
Chi è già stato condannato può lavorare in cucina, nei laboratori di falegnameria, in lavanderia. D’inverno si spala la neve e qui ce n’è tanta. Mentre adesso, che siamo in primavera, i detenuti hanno da poco cominciato a occuparsi del giardino.Per quanto riguarda corsi e laboratori, in carcere c’è la possibilità di finire gli studi iscrivendosi a corsi interni, c’anche un corso di alfabetizzazione, oltre a laboratori di gesso, pittura, comunicazione, break dance e marionette. A chi invece è in regime di custodia cautelare non o volta mantenere miglioriviene data la possibilità di lavorare. Ci sono solo due persone che si occupano delle pulizie, del cibo e della lavanderia.
C’è una stanza che non vistiamo ma di cui Fulvio ci parla, la cosiddetta stanza dell’amore: uno spazio con letto matrimoniale, doccia, tavolo e  un condom. E’ qui che i detenuti, chiaramente non tutti, possono incontrare le proprie mogli o compagne. La stanza è aperta due volte a settimana, dalle 7 di sera alle 7 del mattino.
La sensazione è di essere in un istituto di pena molto simile a quello della nostra città (Chieti). Per certi versi le camerate somigliano a quelle degli ostelli della gioventù. Le sensazioni degli occupanti, ovviamente, sono ben altre. E neanche a farlo apposta, a Lubiana scopriamo l’esistenza di un nuovo ostello della gioventù proprio all’interno delle ex carceri militari:  è lo Youth Hostel Celica, un edificio del 1882 situato a Metelkova ulica, una specie di Camden Town balcanica per intenderci, a poche centinaia di metri dal centro. Qui, nel 1988, vennero rinchiusi i primi quattro prigionieri che insorsero contro Belgrado e le forze armate iugoslave per l’indipendenza della Slovenia.








scheda: Dati 2011 slovenia
 
Con 63 reclusi ogni 100 mila abitanti, la Slovenia resta un paese con un basso tasso di detenzione. Nel 2007 si è verificato un aumento del 5% dei reclusi rispetto all’anno precedente. Le prigioni sono sovraffollate, come avviene in altre parti del mondo. Si tratta di un tasso di sovraffollamento del 22,3%. Il 12,5% dei detenuti è di origine straniera. Questa percentuale è rimasta invariata negli ultimi anni. Due terzi di loro, nello specifico il 65,2%, proviene dai paesi dell’ex – Jugoslavia. Del numero totale di reclusi meno del 5% sono donne.
Al 1 gennaio 2007, vi erano 34 donne recluse nelle carceri slovene. Nel corso dell’anno, altre 54 donne sono state incarcerate, per un totale di 88 detenute. Lo stesso anno, 46 donne sono state rilasciate e 21 trasferite in altre prigioni o hanno visto sospesa temporaneamente la loro detenzione a causa per lo più di cure ospedaliere (spesso per alcolismo o tossicodipendenza).
Queste informazioni sono state raccolte durante un sopralluogo effettuato alla prigione femminile (esiste soltanto una prigione femminile in Slovenia) e dall’ultimo rapporto annuale stilato per l’anno 2007. Al 31 dicembre 2007 vi erano 42 donne detenute e nel corso dell’anno si era registrata precisamente una media di 38,9 donne dietro le sbarre.
Nel corso degli ultimi cinque anni, nelle prigioni slovene non si è registrata la presenza di bambini.
Nel gruppo di età dai 27 ai 39, ci sono 15 donne in prigione e questo gruppo è rappresentativo della maggior parte delle recluse. Per quanto riguarda la lunghezza della pena da scontare, la stragrande maggioranza delle donne deve scontare pene dai 6 ai 12 mesi.
L’unica prigione femminile della Slovenia si trova nella città di Iik, a dieci chilometri da Lubjana. La sede è quella di un vecchio castello. Quest’
Nel corso degli ultimi cinque anni non sono stati registrati casi del genere in Slo
ultimo è stato trasformato in prigione nel 1956, con una capacità di accoglienza di 79 persone e in media si registrano dalle 40 alle 50 recluse. Al 1 gennaio 2009 erano presenti 52 donne, 11 delle quali incarcerate per reati minori e 41 per crimini. Le donne che devono scontare pene minori, al di sotto dei tre mesi, possono essere destinate ad altri percorsi per scontare la pena.
Attualmente è in corso un acceso dibattito sul fatto che lo stato possa predisporre più unità femminili all’interno degli istituti e disseminarle maggiormente sul territorio in modo tale che le recluse possano a loro volta avere rapporti con i propri cari oppure creare un’unica e nuova prigione femminile con tutti gli standard e i servizi adeguati al caso.
Scontare una pena per una donna in Slovenia è un fatto intrinsecamente connesso con una serie di aspettative a loro volta legate alla cultura e alla società riguardo il ruolo della donna e della madre nella famiglia. Per questo le donne in prigione si trovano a vivere maggiormente stati di colpevolizzazione e ansia rispetto a quanto accade agli uomini detenuti.
Se la condannata ha un figlia o un figlio con meno due anni, è incinta e mancano non più di cinque mesi al termine della gravidanza la sentenza che interessa la madre può essere posticipata su richiesta della madre stessa. La legge afferma inoltre che per le detenute incinte o quelle che hanno dato alla luce il proprio bambino durante la reclusione, deve essere garantita un’adeguata assistenza medica, così come condizioni adeguate per l’assistenza al bambino che può rimanere fino al primo anno di età con la madre se quest’ultima lo richiede. La legge sancisce che il bambino può restare con la propria madre fino al secondo anno di età se in questo periodo scadrà la sentenza o se vi sono ragioni di salute o altre motivazioni inerenti.

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