giovedì 23 maggio 2019

STORIE E PENSIERI A RUOTA LIBERA

Work in progress. dalle carceri di Chieti e Pescara

di Rosario Lucarelli (PE)
L’INDIFFERENZA AL DIRITTO E L’INTERESSE PATRIMONIALE
Lo scorso 23 maggio nel Penitenziario di Pescara si è svolta una discussione su quali siano i diritti dei detenuti in Italia e in Europa.  All’incontro v’era la rappresentanza dell’unione Camere Penali di Chieti è due eccellenti relatori dell’università D’annunzio nelle persone del Prof. Cifaldi e la Prof.ssa Cristiana Valentini.  Il dibattito si è aperto con la commemorazione di due grandi giudici (Falcone e Borsellino) per poi passare al cuore della questione: i diritti. 
Aprendo  la discussione il Prof. Cifaldi  ha esposto le sue ricerche osservatrici sulle condizioni carcerarie. E non solo a livello nazionale. Per poi passare ai temi Europei. Subito dopo la parola ai discussanti che acuendo il tema hanno poi visto intervenire diverse persone detenute che facendo risaltare non solo le meste condizioni detentive, hanno evidenziato le defaillance sistematiche di un sistema obsoleto e ormai alla deriva.     I dialoghi si sono protratti per circa un’ora. Ma nessuno dei presenti è riuscito a dare un senso all’endemicità della situazione che non vede schiacciati solo i detenuti, ma anche chi, in questo ambiente, ci deve ogni giorno lavorare.  Alcuni  domandavano soluzioni (salute, lavoro,corsi…). Altri chiamavano a sé La fatica dello sforzo umanitario - che non si nega - e taluni altri, addirittura,ha tentato di scalfire il prestigio della magistratura sostenendo – con scelleratezza3 -   l’affrancamento del legislatore dalle sue responsabilità per il rallentamento della democratizzazione quanto in Europa, specie in Italia in tema di diritto e uguaglianza e uguaglianza sostanziale (vivere civile).                                                         Insomma, come nelle precedenti discussioni anche questo è finito per diventare come quelli già passati (uno sermone5). Un’ipocrisia che non solo si ripete anno dopo anno, ma che si vuole trascinare avanti con cecità e discriminazione assoluta contro i più deboli, i più poveri e comunque contro i membri - anche temporaneamente interdetti -  della società. Con l’aggravante di cavalcare le paure dei cristiani così innalzando i livelli di sicurezza - forse a fine personale -  ben oltre i necessari così da tangere non solo la stessa sicurezza ma anche la dignità di tutti. Quella dignità di cui i  nostri padri costituenti si son battuti in  nome degli oltre 55 milioni di morti e i sei milioni di ebrei della seconda guerra mondiale e dei  19 milioni della prima. Donando a noi oggi il frutto di tante fatiche, tragedie e morti ammazzati che hanno combattuto per la libertà, legalità e la giustizia. Portando alla luce la carta della nostra Costituzione.     
Alcuni potranno sostenere che questa è una carta morta, ma io sostengo il contrario. Anzi (Piero Calamandrei lo disse nel suo discorso del  26 gennaio 1955) «”… Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione” »  .

La nostra Costituzione è una bambina di 70 anni che seppur con qualche ruga è tutt’oggi il faro per la pace e la prosperità5 per le generazioni a venire. E quindi non vi può essere retorica quando si parla della carta e della legge fondamentale; non si può   si deve parlare del diritto e dei diritti come qualcosa di astratto quando questi sono reali/concreti e vanno da tutti rispettati.” I diritti sono l’essenziale linfa di un paese che va verso la civiltà: e quindi cosa seria. Essi non  vanno offesi ma difesi”. Rispettarli  significa crescere e non recedere. Perciò in questo momento della nostra storia, la speranza deve aumentare attraverso una fede illuminata - e vissuta – così da rendere efficaci le lotti per debellare il dolore e assicurare la pace con l’inclusione, accoglimento, affettività, altruismo, solidarietà, sussidiarietà : umanità. 
La testimonianza negativa di ciò che ci circonda è la prova del fallimento di coloro che ci ha preceduti. Un codazzo di ascari che puntualmente abbiamo chiuso anno dopo anno e che ci trasciniamo dietro da anni oscurando sempre più  l'immagine dell’uomo (Dio) aprendo le porte dell’incredulità e della resa alla miseria.. Quindi abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo verso il futuro e dritto verso Dio. Imparando così la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dall’amore e non dall’odio o la vendetta. Operare con il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore di tutta quanta l’umanità. Soltanto attraverso uomini che sono toccati dall’amore Dio può far ritorno nel buon senso e l’uguaglianza degli uomini. Esemplificando. La lezione del diritto e dei diritti del detenuto non può non essere considerata come quelli legati strettamente all’ uomo in una civile società. E che quindi non si risolve con, o in una procedura di esclusione. Tuttavia si conviene nell’ipocrisia attuale che vivere civile significa rispettare gli altri sia come persona sia come individuo. E quindi anche e prima ancora l’uomo e non al contrario. Perciò penso che ci si dovrebbe indignare davanti alla violazione meccanica …  del diritto e dei diritti. Solo attraverso l’indignazione si potrà raggiungere la cultura della vergogna per  poi accettare la cultura della dignità e  del saper vivere civile.  Solo così potremmo sperare di salvare noi e il futuro dei nostri figli per una globale società umana. Quindi non c’è posto per l’indifferenza e la cecità ancorché dell’interesse patrimoniale. Prima c’è la dignità e la libertà che non sono negoziabili.     « ... il riconoscimento della dignità specifica e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della società umana è la base di libertà, giustizia e pace nel Mondo. »  « La libertà è come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare».  (Piero Calamandrei) 
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di Andreas Addario (PE)
Sono un detenuto del Carcere di Pescara, il giorno 23-05 c.a. c’è stato un convegno, che aveva lo scopo di informarci sui diritti dei detenuti, in Italia ed in Europa. Le persone atte a tale compito erano tra Avvocati, cultori di diritto penale che, nell’insieme facevano parte delle Camere penali.
Ha esordito il prof. Cifaldi, il quale donandoci delle info sui carceri europei, dove rispetto alle altre nazioni l’Italia viene dopo l’Afganistan. Inoltre ci ha anche detto che visitando in prima persona queste varie realtà, aveva modo di confrontarsi sulle varie differenze;tipo in Romania i detenuti hanno il telefono in camera con 10 numeri bloccarti, hanno la possibilità di avere intimità con la moglie e, questo avviene in altre strutture europee e non, Qui da noi, che dovremmo essere un paese civile questo non avviene, tranne per il fatto che, abbiamo quattro telefonate al mese, più eventuali straordinarie della durata di minuti 10, sei ore di colloquio visivo con i propri familiari e nessun altro al mese. Ma secondo me il discorso di fondo qui è tutto relativo perché quando si parla di diritti, automaticamente cui devi accostare anche i doveri. Noi diamo tutto per scontato ma, un diritto inviolabile quello dell’affettività, beh…. qui viene totalmente calpestato, accartocciato e gettato nel cestino. Per spiegarmi meglio, è successo che un detenuto, per motivi familiari gravi, aveva la possibilità di effettuare colloquio un giorno diverso dal previsto e gli è stato negato. Oltretutto, il familiare in questione, ha dovuto affrontare il viaggio, nonostante le condizioni di salute precarie, presentarsi alla porta e vedersi rifiutare il colloquio stesso con motivazione assurda ma, non solo il detenuto non è stato nemmeno avvisato dell’accaduto. Tornando al convegno, dopo che uno ad uno han detto la loro che, poi sostanzialmente già si conoscevano, perche molti di noi, abbiamo girato varie strutture anche all’estero, ci si confronta tra di noi.
Quindi, quello che mi son chiesto, tra me e me ,qual’era lo scopo finale di tutta la giostra. Una mezza risposta me la data, cioè avevano preso dei soldi, perché c’era l’imminenza delle elezioni europee per cui politica ma, forse hanno tralasciato il fatto che il 70% dei detenuti è inibito al voto.
Mi facevo queste domande mentre anzi tempo abbandonavo la sala e tornavo nella mia stanza riflettendo. Poi, quando è arrivato il momento di rivolgere alcune domande a questi Sig., ha preso la parola un collega della redazione e, parlando a nome di tutti, visto l’incalzarsi delle domande, è stato anche redarguito, testuali parole: << Hai il brutto vizio di interrompere le persone>>,quando a lui stesso non gli veniva data la possibilità di finire il suo concetto.. Visto e sentito il tutto, ho deciso di andarmene perché avevo capito che la giostra era fine a se stessa, era esclusivamente per riempire l’ego dei vari personaggi che sono venuti. Quando dicevamo qualcosa che qui non funziona, ci veniva risposto di scrivere tramite gli Avvocati le varie inefficienze, Beh! Io mi sono sentito letteralmente preso per il tergo. Loro avrebbero dovuto ascoltare Noi, cercare di fare qualcosa, per cambiare ciò che sbagliato…. “Tutto”, perché essendo loro Avvocati e facendo parte delle camere penali di Chieti, chi più di loro avendo un “potere” potrebbero farlo ?
Mi chiedo, a parte il fatto che siano venuti largamente in ritardo, perché non sono venuti a farsi un giro nelle sezioni a vedere le reali condizioni in cui versiamo: sovraffollamento, stanze fatiscenti,bagni pieni di muffa e non ci vuole uno scienziato per capire che dannoso per la salute, sanitari che non funzionano o in parte, acqua calda ad orari e anche qui chiunque capirebbe che in una cella di 6 persone, dove già viene a mancare quella metratura stabilita come si fa a farsi le docce con orari molto esigui. Ma come tutte le cose, si dice fatta la legge, trovato l’inganno.
Nel senso che visto il moltiplicarsi dei ricorsi alla corte Europea sul sovraffollamento, han pensato bene di tenerci aperti dalla mattina alle 08:15 cieca, chiudere alle 12:30 fino alle 14:30,riaprire fino alle 18:30. Quando in altri carceri italiani si apre la mattina alle 08:30 fino alle 20:30, Attenzione sto ancora parlando dell’Italia.
La cosa più grave è che mettono nel calderone, discarica umana, persone “normali” con quelle psichiatriche, tossico-dipendenti, che inevitabilmente arrecano danno da ambo le parti, per cui si vive una tortura nella tortura. E’ vero, abbiamo commesso dei reati, dobbiamo espiare la pena, ma non per questo dobbiamo essere spogliati della dignità umana, calpestare i nostri diritti e tanto altro.
A mio avviso invece, chiedere ai Signori in poltrona di darci quello che ci spetterebbe oggi, ma bensì quello che ci spettava ieri.
Concludo dicendo che, non è necessario come dice il detto: SI VIS PACE PARABELLUM, perche Noi perderemmo in partenza, quindi cercare di utilizzare le forze per costruire qualcosa di buono, facendoci sentire in modo diverso.
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di Andreas Addario (PE)
La Repubblica è un concetto aleatorio, dove persone dotte, nel lontano 1946 hanno stilato la carta dei diritti, la costituzione. Beh! Come possiamo vedere tutti i giorni, da ciò che è stato scritto, a ciò che avviene nella realtà, è solo un qualcosa che sta lì scritto ma non applicato.
Si parla tanto di Libertà, dal punto di vista etimologico, dovrebbe significare libertà di pensiero, di azioni e di scelte. Per l’appunto queste scelte, ci possono portare, a compiere azioni giuste o sbagliate. Nel mio caso specifico, per un certo periodo di tempo, ho compiuto quelle sbagliate, ove sistematicamente venivo condannato ad espiare una pena. Ma ciò non vuol dire che, nel farlo bisogna calpestare, denigrare i nostri diritti.
Si è vero, ho fatto del male a qualcuno, ma in primis ho fatto del male a me stesso.
La vita, ti mette avanti degli stereotipi vari, perché sei attirato dal denaro facile, commettendo atti illeciti, allora succede l’inevitabile; vuoi insieme a compagnie sbagliate, ero il classico bravo ragazzo andavo a messa, ecc.
Ma poi facendo le scelte sbagliate, i giri nelle volanti si susseguivano, i viaggi dalla caserma al carcere pure, quindi entri: foto, dati anagrafici, impronti digitali e poi vieni buttato in una cella angusta abbandonato a te stesso. Quando tutto ciò accade, ci sono tre fasi: Negazione (perché dici che non può esser vero), Rabbia ( un’emozione che ti sale all’improvviso per l’accaduto), infine la Rassegnazione. Quest’ultima fase, non è da intendersi come un mollare tutto, ma cercare di prendere tutto quello che le Istituzioni offrono.
La cosa più importante, da non dimenticare, è che dietro tutte queste dinamiche c’è l’individuo umano, la persona. Nella maggior parte delle carceri italiane, non funziona niente sia dal punto di vista riabilitativo, sia dal punto di vista strutturale; l’importante per loro è che ci rendano servili,obbedienti e remissivi.
Io prima di tornare in carcere, ero internato in una struttura psichiatrica, dove insieme ad altre persone, che avevano commesso dei reati venivamo curati, riabilitati.
Dimostra il fatto che uscivamo tutti i giorni per andare al paese (Barete,Pizzoli) o al Centro Commerciale, integrandoci nella società che ci conosceva.
Possiamo quindi dire che, siamo come un elefante nella stanza cioè, è impossibile non vederlo ma, tutti fanno finta di guardare. Poi quando questo elefante si muove, ineluttabilmente fa danno. Allora, viene tutto a galla ed è impossibile ignorare.
In quelle uscite, sotto la supervisione della Psicologa (Dott.ssa Canna Domenica) lo aveva  realizzato ai fini riabilitativi, con l’autorizzazione dei Magistrati.
Noi, ci integravamo con la popolazione locale, talvolta disputavamo delle partite a carte, mentre quando ci recavamo al Centro Commerciale, facevamo gli acquisti personali. Li ho visto, un qualcosa di funzionale, un sistema collaudato; dove la persona era tale e, non un numero qualsiasi come lo siamo qui in carcere. Tornando brevemente sulla costituzione, un art. recita che ogni individuo, è uguale innanzi alla legge. Beh! Anche qui nutro seri dubbi, poiché testimonianze possono dare voce, a ciò che ho appena affermato. Sentiamo tutti i giorni alla TV, che Tizio ha fatto questo, ma Caio a parità di reato, gli è stata inflitta una pena diversa. Sarà forse una coincidenza, che Tizio ha i soldi, che sia un personaggio pubblico, ecc. Quindi, posso dedurre che vi sono, persone di classe A e persone di classe B.
Concludendo, vorrei far mio, il mito di Antigone; cioè oltre la legge quotidiana, ce ne sia una superiore che è quella umana. Per cui, dato che ero internato in una struttura psichiatrica, ove venivo curato / riabilitato. Quindi è giusto che da un posto funzionale, venga preso e buttato in un altro , dove tutto quello fatto non ha più senso, ne funzione.
Allora, la legge di cui parla Antigone, calzerebbe a pennello al mio caso specifico.
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da Pescara/1
Le carceri come strutture
Son piene di brutture
Seppur li han restaurati
Restan sempre luoghi avariati
Dove una piccolissima percentuale
Fuori da li dimostra quel che vale
Seguendo un percorso retto e lineare
Senza più bisogno di sbagliare
Ma se tu per primo non ti vuoi aiutare
Non ci metti niente a deviare
Per ogni cosa compili una domandina
Che verrà valutata la seguente mattina
Dove pur chiedendo un diritto
La maggior parte delle volte sconfitto
Inizi quindi a discutere e perder fiato
Ma non puoi nulla….Loro son lo Stato
Allora sciopero della fame metto sulla domandina
Subito si presentano gli stellati alla mattina
Asserendo che non son questi i mezzi
Innanzi prendono e te la fan a pezzi
Ma persiste il tuo malessere, disagio
Ma con arte oratoria cercan di metterti a tuo agio
Dicendoti che troveran Loro il sistema
Ma in fondo tu resti comunque con il tuo problema
Queste sono le realtà carcerarie
Delle situazioni ambigue e varie.

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da Pescara/2
Come in un ring un pugile
Con la mente lucida ma fragile
Che incassa colpi su coli
Senza mirare ai propri scopi
Ti senti chiuso all’angolo
Ma a salvarti non vien nessun angelo
Provi di tutto per reagire
Ma l’avversario continua a colpire
L’incessante avanzata…sei tumefatto
In qualsiasi modo non vuoi uscirne sconfitto
La lotta è dura e si protrae
Tutto il corpo si contrae
Sprofondi nella lunga voragine
Non trovando un appiglio come argine
Ad un tratto intravvedi una fune 
L’aggrappi simil sacco di piume
Sentendoti verso l’alto tirato
Qualcuno una mano ti ha dato
Arrivato su in cima quello che vedi
Sbatti le ciglia più volte e quasi non ci credi
Inizi così a reagire, colpire più forte
A tuo favor sfinito ribalti la sorte.
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di Luca Fracasso (PE)
Diritti calpestati
Il 2 giugno 1946 75 tra giuristi, partigiani e professori è nata l’idea di Repubblica e quindi la necessità di una Costituzione, cosi cade la monarchia e l’Italia diventa un paese democratico fatto di diritti. Diritti uguali per tutti ricchi, poveri, neri, bianchi, insomma diritti per esseri umani. Nel corso degli anni però l’Italia rispetto al resto dell’Europa ha fallito sotto parecchi punti. Il primo e secondo me il più importante: ha dimenticato l’articolo 1 della Costituzione cioè che siamo un paese basato sul lavoro, cosa oramai inesistente nel nostro paese ancora di più se si è pregiudicati e quindi “etichettati”. Non è certo la prima causa ma senz’altro la più importante che ha portato un incremento di delinquenza  e da questo una crescita esponenziale di arresti. La maggior parte degli italiani ancora oggi pensa che ce la siamo cercata e per cui se si sbaglia è giusto pagare, ma essendo uno dei primi paesi che ha voluto fondare l’unione europea dovremmo quantomeno avere un sistema carcerario all’altezza , mentre al momento abbiamo una giustizia da terzo mondo dove i diritti non solo sono calpestati ma addirittura inesistenti. Senza citare i casi Cucchi, Aldrovandi, etc. 
L’esempio ce lo danno tutti gli altri stati europei, dove il sistema carcerario prevede un sussidio minimo per permettere a ogni detenuto un minimo di sostentamento, fare la spesa insieme e consumarla nelle sale da pranzo comuni, stanze singole o al massimo di due persone con personal computer o videogiochi, regimi aperti dalle 8.00 alle 21 di sera, attività di teatro e di passeggio condiviso con le donne, all’esterno campi da calcio, palestre e tavoli da ping-pong affollano le carceri di quasi tutta Europa. Per quanto riguarda i colloqui nelle nuove strutture vanno dalle 2 alle 6 ore con distributori automatici di ogni genere e camere da letto. Inoltre in accordo con lo staff trattamentale le compagne o le mogli possono passare la notte negli istituti con i loro cari e fin da subito sono messi alla prova facendoli uscire per poche ore o addirittura un giorno intero: tutto studiato per una vera rieducazione sia con la famiglia che con il mondo. Per finire in quasi tutti gli istituti d’Europa il lavoro a rotazione  è previsto per tutti e non solo per pochi eletti cosi da completare il percorso rieducativo e trattamentale e anche per impegnare la giornata, mentre oggi negli istituti di pena italiani il 90% del tempo si passa lungo i corridoi a chiacchierare per anni e anni con il solo aiuto di  pochi volontari e ancora meno educatrici. 
Questi sono i diritti che l’unione europea ha disposto per le carceri dove l’Italia non riesce ad attenersi e viene cosi condannata e multata per le condizioni disumane e degradanti in cui ci costringono a vivere, dove non c’è nulla di rieducativo anzi forse è esattamente il contrario. Invito quindi le persone addette prima di spendere milioni di euro per costruire strutture nuove a pensare a quelle già esistenti per far sì che funzionino in modo corretto così da rispettare i diritti della Costituzione italiana, anziché continuare a calpestare i diritti degli esseri umani andando così contro la Costituzione stessa. Proprio in questi giorni L’associazione Antigone che si occupa di monitorare e seguire le condizioni degli istituti di pena è andata in onda sulle reti nazionali portando dati molto precisi, ovvero la metà degli istituti di pena italiani sono in sovrannumero del 150% mentre l’altra metà arriva addirittura al 200% con strutture fatiscenti,  in molti casi senza acqua calda e in carenza di personale. Già questo la dice lunga e dovrebbe essere sufficiente per far sì che chi di competenza corra al più presto ai ripari. Io sono un criminale, ho commesso reati perché  ho infranto la legge, ma se la legge è uguale per tutti vale anche per i responsabili che mi tengono qui che dal momento in cui non rispettano i diritti dell’uomo di fatto diventano criminali quanto me e meritano quindi la stessa condanna.
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Di Raffaele D’Incecco (Pe)
Sono nato nel 1958 da una famiglia onesta. Mio padre era dipendente comunale e la mamma casalinga io sono l’ultimo dei tre figli, purtroppo da piccolo ho preso la poliomielite: nel 1958 ci fu una forte epidemia, sono stato colpito a 10 mesi e per me fu l’inizio della sofferenza, fui portato nell’ospedale di Ancona, reparto pediatrico, per fermare il virus della polio. E già da li cominciai a sentire il distacco della famiglia. Purtroppo la mia famiglia poteva contare solo sullo stipendio di mio padre che in quei tempi si aggirava sulle 60 mila lire, e quindi fare Pescara ed Ancona diventava una spesa e poi dovevano accudire gli altri 2 fratellini. Rimasi per 5 anni in ospedale ed oggi ricordo che c’era una piccola mensa con piccole sedie e tavolini. Tutti i bambini erano nelle mie stesse condizioni e anche più gravi. La poliomielite può  danneggiarti fisicamente, oltre a colpirti gli arti può farti rimanere in carrozzina. Io ero stato più fortunato e mi ha colpito solo l’arto inferiore sinistro, ma sono rimasto claudicante a vita. Quando avevo 11 anni morì improvvisamente mio padre a soli 45 anni. Mi resi subito conto di aver perso il mio punto di riferimento. Ebbi una infanzia terrificante soprattutto quando mi ritrovavo con gli amici di gioco, che in quell’epoca c’erano giochi fatti col pallone con campi grandi che poi divennero aree di costruzioni di enormi edifici popolari.
All’età di 15 anni cominciai a pensare come potevo risolvere per togliere il tutore in ghisa che portavo alla gamba sinistra per poter camminare e per non portare più quelle scarpe enormi che in estate soffrivo molto, quindi decisi con mia madre e mia zia di valutare una visita ortopedica e se c’erano possibilità per migliorare. Fummo indirizzati in una clinica di Firenze e così cominciò il mio cammino con tre interventi che ancora oggi in termini medici ricordo quali erano: estensione dell’anca, una trodesi tibio tarsica, ostoteomia per ginocchio valgo. Naturalmente tra ingessature e riabilitazioni passarono anni ma avevo ottenuto quello che volevo eliminando quel tutore fastidioso e pesante. All’età di 18 anni mi arrivò la cartolina per il servizio militare nel corpo della marina militare, naturalmente fui esonerato e per me  fu un ennesima sconfitta: mi sarebbe piaciuto fare la carriera militare e col tempo cominciavo a capire che la mia vita l’avrei vissuta al 50 per cento, Cominciarono le prime cotte con le ragazze ma non avevo problemi; sapevo di essere un bel ragazzo ma sapevo anche che il mio handicap mi avrebbe bloccato, così mi comprai la mia prima vespa 50 della piaggio e seduto lì sopra mi sentivo uguale a tutti tanto è vero che quando passavo le ragazze si giravano sussurrando che ero un bel ragazzo. Ma purtroppo per fare la conoscenza dovevo anche scendere dal motorino e mi rendevo conto che cambiavano espressione addirittura dicendomi “ ma sei zoppo” e lì mi ricadeva il mondo giù.
Cominciai i miei primi lavori di rappresentante di libri anche andando fuori regione con lavori di gruppo, portando buoni risultati in ditta, ma un giorno non raggiunsi il gruppo per problemi di influenza e rimasi a Pescara. Passata la febbre stavo nel bar del mio quartiere e vidi entrare una bellissima ragazza. Notavo che mi guardava e lì mi prese il cosiddetto colpo di fulmine ma anche qui incontrai le mie difficoltà ma non perché lei non mi accettava ma era di origine calabrese e non ero ben visto dalla sua famiglia per il mio problema fisico, ma l’amore non ha barriere e alla fine sono riuscito a sposarla. Lei 17 anni ed io 21.
Nel frattempo riuscii ad entrare nella ditta di medicinali Angelini come fattorino nel consegnare medicinali in farmacia. Lo stipendio era buono ma ero con contratti per 3 mesi ma me li rinnovavano fino ad un anno, poi cambiai lavoro e andai alla Tekno Scuola, ero magazziniere. Era una ditta che lavorava con le scuole professionali e vendeva macchine utensili e torni computerizzati. Ma arrivò la crisi anche lì e mi licenziai, Mia moglie aspettava il  primo figlio che nacque nel maggio dell’1981: una bella bambina di nome Stefania. Ero diventato papà quindi aumentavano le responsabilità, ma non ero uno che rimaneva con le mani in mano, così entrai a far parte di una ditta di pulizie che aveva vinto l’appalto nell’ospedale civile di Pescara ed entrai come operaio, certo non ero un lavoro adatto a me ma la voglia di lavorare era tanta e poi dovevo riportare lo stipendio a casa. Fui assunto a tempo indeterminato e per 6 anni rimasi, ma poi per i dolori della schiena diedi le dimissioni. Nacque il secondo figlio Patrizio che oggi a 32 anni e per un anno rimasi senza lavoro ma solo con una pensione d’invalidità. Poi arrivò il terzo figlio, Maurizio, che oggi ha 24 anni.
Ma le mie condizioni fisiche peggiorarono: a 45 anni fui colpito da un diabete mellito del tipo 1, costringendomi a 4 insuline giornaliere, e qualcosa in me cambiò nella mia testa, oltre alla disoccupazione ci mancava anche il diabete e con una pensione d’invalidità di 270 euro era impossibile portare una famiglia avanti. Entrato in una forte depressione un giorno feci irruzione nel palazzo del Comune armato di pistola e presi 10 persone in ostaggio: la trattativa durò un’ora con polizia e giornalisti che mandavano la notizia in diretta. Allora non ero conosciuto dalle forze dell’ordine e quindi per loro c’era uno squilibrato con persone prese in ostaggio. Intanto capivo che mi ero cacciato in un brutto guaio, cosi rivolsi la pistola nella mia testa e premetti il grilletto, ma la pistola si inceppò e quindi in un lampo avevo tutte le forze dell’ordine addosso.
Fui portato in carcere e processato con una condanna di 2 anni e  9 mesi di carcere. Feci 2 mesi e trasferito in una clinica di psichiatria fui visitato da psichiatrici e messo in terapia farmacologica:  dopo 4 mesi di degenza fui rimandato a casa, ma non fui aiutato per un posto di lavoro, quindi una mattina colto dalla disperazione con una pistola giocattolo feci una rapina da solo alla banca popolare portandomi via 5000 euro. Era la somma di cui avevo bisogno per i debiti accumulati, mi arrestarono i carabinieri sequestrandomi le ultime 500 euro che mi erano rimaste. Fui condannato col minimo della pena 1 anno e mesi 4, da scontare ai domiciliari. Fu allora che ricevetti una raccomandata dalla ditta SIAP specializzata e socio del comune di Pescara per lo smaltimento dei rifiuti, la mansione affidatami fu come  agganciatore di bidoni stando sul camion non come autista ma come operatore per agganciare i bidoni: non era il massimo del lavoro adatto per le mie condizioni fisiche ma era talmente grande la voglia di lavorare che superai la prova e venni assunto con contratto a tempo indeterminato come invalido. Avevo scelto il turno di notte perché era più pagato, la mia fortuna arrivò quando usci una legge che con la mia invalidità e gli ultimi 5 anni di contributi potevo andare in pensione col minimo per inabilità lavorativa, la mia invalidità in quel periodo era del 75 per cento facendo l aggravamento ottenni il 100 per cento avendo anche diritto alla pensione d invalidità, che oggi mi permette di far fronte per mantenere la famiglia, anche se mi rendo conto che i soldi non bastano mai ma almeno ti permettono di far fronte nei pagamenti.
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di Andreas Addario (Pe)
La repubblica è un concetto aleatorio, dove persone dotte, nel lontano 1946 hanno stilato la carta dei diritti, la Costituzione. Beh! Come possiamo vedere tutti i giorni, da ciò che è stato scritto, a ciò che avviene nella realtà, è solo un qualcosa che sta lì scritto ma non applicato. Si parla tanto di Libertà, dal punto di vista etimologico, dovrebbe significare libertà di pensiero, di azioni e di scelte.
Per l’appunto queste scelte, ci possono portare, a compiere azioni giuste o sbagliate.
Nel mio caso specifico, per un certo periodo di tempo, ho compiuto quelle sbagliate, ove sistematicamente venivo condannato ad espiare una pena.
Ma ciò non vuol dire che, nel farlo bisogna calpestare, denigrare i nostri diritti.
Si è vero, ho fatto del male a qualcuno, ma in primis ho fatto del male a me stesso.
La vita, ti mette avanti degli stereotipi vari, perché sei attirato dal denaro facile, commettendo atti illeciti, allora succede l’inevitabile; vuoi insieme a compagnie sbagliate, ero il classico bravo ragazzo andavo a messa, ecc.
Ma poi facendo le scelte sbagliate, i giri nelle volanti si susseguivano, i viaggi dalla caserma al carcere pure, quindi entri: foto, dati anagrafici, impronti digitali e poi vieni buttato in una cella angusta abbandonato a te stesso. Quando tutto ciò accade, ci sono tre fasi: Negazione (perché dici che non può esser vero), Rabbia ( un’emozione che ti sale all’improvviso per l’accaduto), infine la Rassegnazione. Quest’ultima fase, non è da intendersi come un mollare tutto, ma cercare di prendere tutto quello che le Istituzioni offrono.
La cosa più importante, da non dimenticare, è che dietro tutte queste dinamiche c’è l’individuo umano, la persona.
Nella maggior parte delle carceri italiane, non funziona niente sia dal punto di vista riabilitativo, sia dal punto di vista strutturale; l’importante per loro è che ci rendano servili,obbedienti e remissivi.
Io prima di tornare in carcere, ero internato in una struttura psichiatrica, dove insieme ad altre persone, che avevano commesso dei reati venivamo curati, riabilitati.
Dimostra il fatto che uscivamo tutti i giorni per andare al paese (Barete,Pizzoli) o al Centro Commerciale, integrandoci nella società che ci conosceva.
Possiamo quindi dire che, siamo come un elefante nella stanza cioè, è impossibile non vederlo ma, tutti fanno finta di guardare. Poi quando questo elefante si muove, ineluttabilmente fa danno. Allora, viene tutto a galla ed è impossibile ignorare.
In quelle uscite, sotto la supervisione della Psicologa (Dott.ssa Canna Domenica) lo aveva  realizzato ai fini riabilitativi, con l’autorizzazione dei Magistrati.
Noi, ci integravamo con la popolazione locale, talvolta disputavamo delle partite a carte, mentre quando ci recavamo al Centro Commerciale, facevamo gli acquisti personali. Li ho visto, un qualcosa di funzionale, un sistema collaudato; dove la persona era tale e, non un numero qualsiasi come lo siamo qui in carcere. Tornando brevemente sulla costituzione, un art. recita che ogni individuo, è uguale innanzi alla legge. Beh! Anche qui nutro seri dubbi, poiché testimonianze possono dare voce, a ciò che ho appena affermato. Sentiamo tutti i giorni alla TV, che Tizio ha fatto questo, ma Caio a parità di reato, gli è stata inflitta una pena diversa. Sarà forse una coincidenza, che Tizio ha i soldi, che sia un personaggio pubblico, ecc. Quindi, posso dedurre che vi sono, persone di classe A e persone di classe B.
Concludendo, vorrei far mio, il mito di Antigone; cioè oltre la legge quotidiana, ce ne sia una superiore che è quella umana. Per cui, dato che ero internato in una struttura psichiatrica, ove venivo curato / riabilitato. Quindi è giusto che da un posto funzionale, venga preso e buttato in un altro , dove tutto quello fatto non ha più senso, ne funzione.
Allora, la legge di cui parla Antigone, calzerebbe a pennello al mio caso specifico.
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 Di Mauro (Pe)
In_Costituzionale.
vorrei prendere la costituzione e osservarne la sostanza, testarne la sua la densità, l’efficienza molecolare che dà potenza ad ogni suo concetto, analizzare ogni parola di ogni articolo e valutare seriamente e obbiettivamente, quante volte al giorno, all’ora, al secondo, viene ripetutamente, calpestata, violata e dissacrata, da chi ne dovrebbe fare un mantra, da chi a noi dovrebbe insegnarne il puro e alto valore.
Si sono create leggi non incostituzionali ma anti costituzionali, che a parer mio è peggio, proprio perché si è perpetrata nel corso degli anni una guerra aperta a molti principi di essa, per fare di una casta di pochi ricchi e potenti, un élite indistruttibile e protetta dalle polizie e magistrature.
In ogni settore il paradosso costituzionale si evince ma a nessuno importa neanche al cittadino a cui viene negato un diritto sancito dalla stessa.
Allora mi domando se la costituzione sia troppo metafisica, eterea, che non sia di facile comprensione, ma sinceramente se pensassi veramente questo avrei fatto solo il loro sporco gioco, e sì che il mio ragionamento sarebbe un mero prodotto del loro modo di creare caos.
Finché ci abbasseremo ai loro abusi incostituzionali, non saremo mai uomini liberi. La costituzione è il nostro compromesso di libertà, io non credo in stati, in leggi né  in nessun surrogato del potere, ma credo nei principi della costituzione, proprio perché è il patto nel quale decidiamo di privarci di un utopica libertà a favore di una concreta. Credo che in una società che reputa di esser parte di una civiltà debba esser il principio per il quale si è pronti alla rivoluzione.
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 Di Mauro (Pe)
In_Giustizia
Se mi chiedessero qual è la causa più rilevante della pazzia  fra i detenuti, potrei rispondere con assoluta sicurezza, l’ingiustizia. Voglio fare un esempio: se avessi un animale a cui ho insegnato a stare ritto sulle zampe posteriori e a mendicare a comando, e mancasse di fare questo, dovrei  punirlo perché impari in qualche modo a obbedire ai miei ordini. Infliggo dolore. Posso farlo con la privazione tanto quanto con la frusta. Questa applicazione può esser messa in opera umanamente. Ma non posso ferire l’animale ed essere ancora umano. Se applico la forza a un grado che può esser definito violenza, allora sto cercando la distruzione dell’animale e non solo la correzione di una tendenza alla disobbedienza.
Non mi chiedete perché dico questo o cosa centra tutto questo con la giustizia italiana?  Perché questa è l’essenza della nostra giustizia.
La solenne punizione... la vendetta sociale contro il criminale, il malfattore, il delinquente.
Non esiste giustizia se il suo principio viene così forgiato…  mi risponderete sicuramente, allora cosa vuole lei? vuol lasciare chi ruba, chi uccide, chi commette dei crimini libero?
Si!! e non  perché ora sono io che sto da questa parte, ma proprio perché qui mi trovo, penso che a fronte di un alto concetto di giustizia non si possa segregare persone e metterle dentro un sistema creato architettonicamente e machiavellicamente per generare solo persone peggiori di quelle che erano prima di commetter un infrazione un reato.
Qualsiasi animale messo in cattività, assume atteggiamenti, violenti. Cambia radicalmente la sua indole.
Con la scusa della riabilitazione, parola creata a posta per continuar a farci sentire ancora come degli esseri inferiori. Ci chiudono a chiave e ci dicono che dobbiamo espiare una pena. Allora voglio esser ancor più provocatorio, e a voi chi vi riabilita da questa seta di vendetta e non di conoscenza.. se solo sapreste cosa significa la privazione.
Voi dovrete esser riabilitati solo per il semplice fatto che se noi commettiamo reati a prescindere dell’indole di un individuo, c’è un problema sociale, politico, allora vi domando se voi vi sentite la responsabilità di tutto questo.. immagino di no.. siamo noi i colpevoli e questo vi basta allora  perché non agite prima, e attraverso i tessuti sociali, andar a lavorare sulle persone più problematiche fin dall’infanzia  invece di creare quartieri  e periferie dove fabbricare criminali.
Siete nati sapendo di rispettare una legge e non un essere umano anzi un animale, mettiamola nel senso più lato, si nasce asserviti ad un padrone il quale pilota la nostra vita in base al vostro reddito, più sei ricco più avrai modo di aggirare la legge, più sei povero e più commetterai piccoli crimini per sopravvivere.  Io credo nell’uomo, credo che la pura convivenza in una ormai civitas debba esser fondata sull’eguaglianza sul reciproco scambio, sul rispetto delle libertà individuali di ogni essere vivente. Mi sto perdendo dal focus del discorso bè parlavamo di giustizia.. come arginare tutta questa ingiustizia.
Secondo me il giorno che voi li fuori vi indignerete per un ingiustizia subita da un prigioniero, sarà lì che vivremo in un mondo migliore,  con questo non dico che molti di voi non lottino per questo e via dicendo, ma l’orda populista che attanaglia il mondo verte in un senso regressivo, di ideali e principi fondamentali per l’esistenza di libertà, vi prego di credere nel progresso di illuminarvi di umanità, e di credere che le carceri non debbano esistere,  dobbiamo creare una classe umana in grado di vivere  senza desiderare la vendetta, senza aver paura verso chi può aver commesso dei crimini e se proprio debbano esistere le carceri,  vigilate voi lì fuori affinché  funzionino e affinché escano davvero persone migliori, allora se in quell’extrema ratio il patto sociale sia  quello di rinchiudere dei criminali in prigione, che non sia per soddisfare la sete di vendetta ma bensì  per integrare persone in una società pronta ad accoglierli. 
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di Paco 84 (Ch)
Sono detenuto presso la Casa Circondariale di Chieti, e nell’ultimo periodo si sono svolti, qui all’interno dell’Istituto, degli incontri con alcuni ragazzi che frequentano alcuni Istituti Superiori di scuole dell’interland.
I ragazzi con età tra 15-19 per la prima volta entravano in una struttura penitenziaria.
Noi eravamo circa una decina di detenuti, sia della sezione maschile che femminile; al nostro ingresso i ragazzi erano già lì seduti ad aspettarci, presenti! Ed il loro sguardo, mentre noi prendevamo le nostre posizioni, era un guardare curioso, intimidito, per qualcuno quasi di paura.
Bè, quello sguardo mi è rimasto ben impresso nella memoria, stampato nella mente tutt’oggi.
Mi era già capitato di partecipare a questo tipo di incontri con ragazzi di varie scuole durante la mia permanenza nel carcere di Pesaro ed era lo stesso sguardo dei ragazzi che stavo per conoscere qui, e così era per la prima sensazione che i ragazzi provavano quando all’ingresso dell’Istituto dovevano lasciare tutte le loro cose fuori, lontano da loro, come ad esempio il telefono cellulare, diventato oggi basilare per tutti.
La stessa emozione che avvertivano nell’istante che dietro di loro si chiudevano i cancelli man mano che entravano in teatro.
Ed un ragazzo disse che la sua sensazione era quella di una struttura che sembrava quasi una grande gabbia. Topi in trappola!!!!
I loro sguardi all’inizio erano quasi simili a quelli di quando si va allo zoo, curiosi di vedere chissà quale tipo o sorta di persona potesse uscire da lì.
Poi piani piano noi abbiamo iniziato a presentarci ed a raccontare parte della nostra esperienza di vita ed è venuta fuori la nostra umanità che forse alcune persone o ragazzi non pensavano che ci appartenesse.
Allora il loro sguardo verso di noi è iniziato a cambiare, non ci guardavano più come animali allo zoo ma bensì come persone umane, che hanno sbagliato sicuramente, ma che come loro siamo persone umane che possono aver commesso degli errori.
Proprio perché nella società in cui oggi si vive, dove la linea di demarcazione tra legalità ed illegalità è talmente sottile che è molto facile trovarsi nella parte dell’illegalità.
Ma non per questo chi cade deve essere lasciato indietro, emarginato per non parlare dei luoghi fatiscenti in cui versano molte delle carceri in Italia nelle quali un detenuto deve espiare la sua pena.
Anzi proprio perché è talmente “ labile ”questa linea di demarcazione, che le istituzioni dovrebbero fare molto di più.
Dopo l’incontro i ragazzi si erano sciolti, i loro sguardi erano cambiati: “ da animali dello zoo siamo diventate persone come loro “.
Persone che hanno sbagliato ma non per questo prive di sentimenti, emozioni con gli stessi affetti che sono comuni a tutti.
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di Ariol Seni (CH)
Essendo cresciuto nel Nord Italia, precisamente a Milano ed avendo girato tutta l’ Italia posso dire che c’è un’enorme differenza tra Nord e tutto il resto dell’Italia.
Una città come Milano ti offre molte possibilità di lavoro, di una vita migliore, di più sicurezza, meno disoccupazione ma soprattutto una mentalità diversa dal resto delle città Italiane.
Tutto questo più o meno si riscontra anche nelle carceri; in passato sono stato ospite come detenuto nel carcere di Bollate.
Ne avevo sentito parlare ancor prima di entrarvi, ma nonostante ciò quando sono entrato ne sono rimasto scioccato; avevo l’impressione di essere in un collegio piuttosto che in carcere.
La prima cosa che mi ha colpito è stato l’impegno profuso dalle istituzioni, dai volontari, dal direttore e dalle guardie per ridare la dignità ad ogni detenuto che gli viene tolta una volta arrestato.
Già la struttura per come è stata progettata si differenzia da tutte le altre carceri; quello di Bollate nasce come carcere sperimentale e sono passati molti anni da quando è stato aperto facendo registrare sempre ottimi risultati tant’è che quando si parla di cambiamento del sistema carcerario in Italia si porta ad esempio il carcere di Bollate; ma poi non si fa mai niente, anzi ogni anno c’è un peggioramento.
Per essere più preciso parliamo di un carcere dove come prima regola c’è quella di non registrare alcuna diversità di trattamento tra i vari detenuti con differenza di reato, o con differenza di etnia o altro; la seconda regola è quella che al primo rapporto o richiamo per comportamento non corretto nei confronti di altri detenuti o delle guardie si viene immediatamente trasferiti; la terza regola che si differenzia da tutte le altre carceri Italiane è, che una volta entrato,  di non essere considerato e trattato come un peso morto.
A Bollate ti inducono ad occuparti di qualche cosa per evitare di restare lì inattivi: - Chi vuol studiare può frequentare corsi dalle scuole superiori sino all’Università, oppure corsi di scuole professionali di varie tipologie. Chi invece vuole lavorare lo può fare anche a tempo pieno percependo uno stipendio normale con il quale oltre che soddisfare qualche esigenza personale può costituire un mezzo di sostegno per la famiglia che abbiamo lasciato in un mare di guai una volta arrestati.
Invece chi ha problemi di dipendenza di droga o altro trova all’interno strutture adatte con persone competenti con una marea di volontari che si prendono cura di queste persone con tali patologie.
Tutto ciò vuol dire VEDERE una persona non come un errore per essere nato, ma come una persona che ha fatto un errore, che ha bisogno di aiuto per capire il perché ha sbagliato; che ha bisogno di essere istruito e di poter imparare un mestiere in modo che una volta fuori possa lavorare. Ecco tutto questo si può chiamare carcere rieducativi.
Secondo le statistiche rilasciate dal Ministero della Giustizia a Bollate la recidiva dei detenuti che hanno completato il percorso, è pari al 25% mentre per i detenuti di altre carceri dove hanno scontato la pena senza poter usufruire di misure alternative è pari al 83%.
Tutto questo fa capire che tenere una persona chiusa in carcere sino alla fine non solo non risolve il problema né suo né della società, ma lo peggiora molto più di prima.
Tutti noi prima di commettere dei reati abbiamo vissuto una vita dove molto spesso siamo state delle vittime, abbiamo subito ingiustizie ed avevamo lo stesso pensiero che oggi la Società manifesta verso chi sbaglia; cioè punizione massima, galera estrema, ecc.
Solo ora una volta arrestato, si può capire quanto è sbagliato e controproducente era quel modo di fare.
Tutti hanno bisogno di una seconda chance.
Succede che una volta arrestato vieni isolato dal mondo esterno, dagli affetti, dai sentimenti e ti sembra che non sei più utile a nessuno, che non servi più, che il mondo intero c’è l’abbia con te.
Spesso non ti viene data la possibilità di uscire perché i giudici sono molto condizionati nelle loro decisioni da un’opinione pubblica che propende per voler vedere tutti i reclusi marcire in carcere, senza capire che il carcere in un sistema malato non fa che peggiorare le persone.
Quando un detenuto è in carcere ha due possibilità di comportamento: o finge di fare il bravo, fa in modo di non prendere rapporti così tenta di uscire prima; oppure si ribella, fà casino, viene portato in isolamento, viene trasferito per punizione; ecco immaginate il comportamento di una simile persona quando esce!!!
Credo e sono convinto che tutti noi siamo responsabili del male che viene fatto a tutto ciò che ci circonda.
L’uomo non è il suo errore e non deve essere visto come tale.
Tutti noi possiamo cadere in uno sbaglio  e tutti noi abbiamo bisogno di una seconda o terza possibilità , di essere aiutati e di aiutare chi ha bisogno.
Se non si inizia a  ragionare in questo modo io sono convinto che molti problemi della Società non solo non si risolvano ma peggioreranno giorno per giorno.
E’ ovvio che la politica ci vuole confinati in un regime chiuso, soluzione semplicistica che porta a spostare l’attenzione dai loro fallimenti ed incapacità a risolvere i problemi seri del paese attaccando le classi più deboli, cioè noi o i rom, o gli emigranti e spesso a tutto ciò si prestano anche media e testate giornalistiche compiacenti.
Come non ricordare che siamo tutti uguali e di passaggio in questo mondo; se non vogliamo il bene del prossimo e non lo aiutiamo non credo si vada da nessuna parte.
Per noi cristiani dovrebbe essere un dovere di amare il prossimo e di aiutarlo secondo gli insegnamenti di Gesù, e spesso questo non accade diventa tutto più difficile.
Credo anche che nello sbaglio di uno c’è lo sbaglio di tutti, perché prima di sbagliare abbiamo subito, siamo stati delle vittime e dopo abbiamo fatto delle vittime; cioè abbiamo sbagliato noi con altri.
Ma per recuperare uno che sbaglia ci vuole il coinvolgimento di tutti.
Provate solo ad immaginare come sarebbe diverso un mondo regolato su un tale principio.
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di Ennio (CH)
Indifferenza
Ho ascoltato una serie di interpretazioni che liberamente ognuno ha cercato di dare sul significato di questo termine; alcune più condivisibili di altre, ma tutte cercavano di confermare come questa realtà, sia di fatto divenuta un atteggiamento diffuso e comune della nostra società, dei nostri simili, di noi stessi. Mi sono domandato come si sia arrivati a questo, ricordando che nella nostra società rurale o contadina da cui proveniamo tutti, l’indifferenza non era parte della cultura di massa e non era concepibile in quel tempo quando si condividevano giornalmente le gioie e le sventure che i facenti parte del borgo incontravano.
La disponibilità a supportare chiunque era in difficoltà, faceva parte del comportamento naturale dell’individuo; a volte non era necessario  neanche chiedere, era naturale prestare la propria opera a chi ne aveva necessità con la certezza di poter ricevere lo stesso, nel caso un domani ce ne fosse stato bisogno e molte volte situazioni di questo tipo, alla fine della fatica, venivano tradizionalmente vissute con un banchetto comune consumato in festosa gioiosità. Questo in sintesi è nel ricordo che i miei nonni mi hanno lasciato parlandomi dei loro tempi. Ma a che cosa era attribuibile un simile comune atteggiamento? Tante le possibili ragioni: “ si viveva in agglomerati molto più ristretti – le esigenze primarie di vita erano ugualmente diffuse nella maggior parte delle persone – la conoscenza individuale di ogni singolo appartenente alla comunità  favoriva il senso di fraternità – le precarietà delle situazioni aumentava il pericolo delle calamità naturali per tutti gli appartenenti di quella comunità e questo  li   induceva a fare fronte comune alle necessità. “Allora cosa è cambiato ? In modo molto critico è accresciuto in ognuno di noi l’egoismo ossia la voglia di concentrare tutte le nostre risorse nell’accrescimento di noi stessi e tutto quello che non ci coinvolge direttamente, non ci appartiene, non ci può distrarre, e quindi non esiste. Per paura, per ignoranza, per mancanza di cultura e di senso civico non siamo in grado di appartenere ad una società civile organizzata: molti si comportano da illusi solisti credendo di poter sopravvivere disconoscendo le  problematiche generali della comunità, incapaci  di esprimere un contributo socialmente utile;  ma spesso abili nell’agire con un subdolo opportunismo a discapito di propri simili. Si penso proprio che l’evoluzione del nostro personale egoismo porti all’indifferenza verso i nostri simili e poi nel significato etimologico della parola indifferenza si trova il chiarimento di come ci si è trasformati in questa società : INDIFFERENZA : Condizione o atteggiamento di chi è apatico, freddo, insensibile; che non prova, non sente e non  esprime particolari interessi o emozioni. Questa è una cruda rappresentazione di una tra le più gravi piaghe della nostra società moderna il cui dilagare può annullare alcuni dei valori fondanti del vivere o meglio della convivenza sociale; questo rischio dovrebbe indurre ognuno di noi a fare qualcosa di più che di un’alzata di spalle nel pensiero “non è cosa mia” ogni qualvolta un nostro simile è in un’ apparente difficoltà; dare una mano non è farsi “ i c.…... degli altri”  ma è una risposta in senso civico al fabbisogno di un fratello. Questione di cultura, di educazione sociale, di senso di convivenza che dovrebbe portarci ad avere un atteggiamento esattamente contrario all’indifferenza, ossia agire con: TRASPORTO   -   INTERESSE   -    ENTUSIASMO.
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di Ennio (CH)
L'esperienza penitenziaria
Vorrei che qualche tempo, l’inciso “via verso una nuova vita?” non venisse più posto come una domanda ma divenisse una certezza per ognuno di noi ed un obiettivo per tutti compreso gli operatori con l’invito a voler indirizzare ogni sforzo affinché non vada disperso il nucleo vivente che noi siamo, recuperandone le potenzialità.
Ma l’esperienza penitenziaria è strettamente individuale, perché ognuno di noi reagisce in modo diverso ed in tempi diversi al tracollo traumatico delle proprie certezze e più si era in alto e più forte è stato il fragore della caduta.
Sono vissuto tramortito per mesi, senza riuscire a volgere il pensiero oltre a quello che mi era successo; rimuginavo dentro di me per trovare una spiegazione che mi avrebbe potuto far accettare questa nuova condizione distante dal mio modo di vita ma ora così reale da bruciarmi in ogni momento sino a farmi male per incapacità di vedere ed accettare le cose nella distorsione che questa realtà impone.
Qui ho trovato un insieme di individui profondamente diversi, forzatamente costretti a condividere spazi ristretti, causa questa che a volte porta ad accrescere la tensione tra i vari componenti della stanza per motivi a volte banali: dalla scelta del programma in TV, alla precedenza nell’uso della doccia, alla ripartizione della spesa comune, che si cerca di non far degenerare facendo ricorso al buon senso.
Mi sono reso disponibile cercando nel dialogo scambi di opinioni ed ho visto allora persone accomunate dagli stessi problemi come la mancanza della propria libertà, la privazione degli affetti e la non certezza del proprio futuro consapevoli del pre-giudizio che si ha nei confronti di noi detenuti.
Ho iniziato a leggere, ho ripreso a scrivere le mie riflessioni che mi permettevano di essere critico sul mio passato con la più tragica delle sensazioni: quella di non avere più senso, di aver perduto i valori più autentici che garantissero qualsiasi tentativo di speranza, qualunque progetto di vita.
Mi sono sentito pronto ad avviare il mio percorso perché volevo esistere al di sopra di questa realtà, ho utilizzato il dolore che sentivo per fare chiarezza nella parte più profonda di me stesso per scovare dentro di me le cose più disdicevoli, farle emergere e capire le motivazioni che mi avevano indotto a sbagliare.
E’ stato un percorso difficile, faticoso a volte doloroso; non è stato semplice e non lo è tuttora perché sono convinto che questa opera non abbia termine. E’ un lavoro continuo che porta a scoprirsi non autosufficienti ma bisognosi di legami affettivi che possono svilupparsi anche in affettività elettive.
Bisogna affidarsi cercando qualcuno in cui credere e del quale non si teme il pre-giudizio ma ci aiuti a capire e prendendoci per mano ci faccia scendere nel nostro profondo avendo la certezza che ci aiuterà a risalire.
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di Ennio (CH)
Percorso interno

Ho chiesto alla mia penna di scrivere perché non volevo più condizionarla con i miei pensieri che alla lunga fanno di me un saccente, con un continuo rimestare su situazioni ormai cristallizzate ma difficili da accettare. E’ inutile battersi per dimostrare chi eravamo; cultura, ceto sociale, posizione economica sono totalmente azzerate in un contesto che ha nei suoi principi fondanti quello di annullare la personalità individuale, allineando tutti ad un livello minimale, in modo da predisporti al prossimo futuro da escluso. La razionalità mi ha permesso di giungere a queste considerazioni, ma mi diventa faticoso adeguarmi a comportamenti e modi di fare del sistema; ma non per snobbismo ma per un reale irrinunciabile e continuo principio di considerare sempre ed in primis l’essere umano nella sua capacità intellettiva.
Ho maturato negli anni questo convincimento modificando in me la veemenza e l’irascibilità di una età giovanile ed esuberante sempre pronta allo scontro più che ad un argomentato confronto. Ecco forse il  perché di questo mio essere distaccato in un contesto basato principalmente su reattività che mi allontana di fatto da una caotica modalità esistenziale che è fotocopia all’infinito di se stessa per ogni giorno della settimana.
Da qui la necessità di ritrovare se stessi scovando un appiglio sicuro a cui aggrapparsi e pian piano ricostruire le certezze di cui si ha bisogno e per far risorgere la necessaria autostima indispensabile per andare avanti da soli.
Mi piace concludere con una citazione su cui invito altri a riflettere:
E’ solo rispettando se stessi che si può esigere il rispetto degli altri;
E’ solo credendo in se stessi che si può essere creduti dagli altri.

                                                                                                      ( O. Fallaci)
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di Ennio (CH)
Perdono  - Risarcimento parte offesa

Per due incontri l’argomento è stato al centro delle discussioni; ognuno ha cercato di dare un qualche contributo ma a mio parere partendo da una visione troppo egoista o forse perché condizionati dal concetto religioso che incide su questa virtù cristiana.
La teacher con ferma caparbietà si è contrapposta alle varie tesi riportando l’attenzione sul punto focale della problematica :  “Perdono da non considerarsi come lasciapassare per riprendere il nostro percorso di vita”
ma come forte convincimento di chi spera nel perdono per poter ravvivare e rivivere l’amore familiare quale unica e vera necessità per colmare il vuoto affettivo di questi anni.
Questi due concetti si sono contrapposti in una mia riflessione interna e su entrambi motivazioni forti mi hanno portato a riflettere sul problema al quale non credo di aver trovato la risposta.
Concordo nel concetto di valutare il perdono come un sublime atto di amore che la parte offesa, in modo del tutto volontario, concede al reo; di conseguenza non è richiedibile, né è oggetto di scambio tanto meno è un atto che cancelli completamente quanto è accaduto.
Detto in questo modo, inteso così, il perdono altro non è che un’azione promossa dalla parte offesa  quando, elaborato il fatto, sente la necessità di chiudere il conto in un concetto assimilabile a : senza nulla a pretendere.
Quindi è un’azione da intendere come volontà di girare pagina da parte di chi ha subito, che vede il reo come oggetto e non soggetto attivo del perdono.
E’ altresì vero che, per essere meritevoli del perdono, si richiede al reo l’effettuazione di un percorso interno lungo e profondo teso a rimuovere tutti gli alibi che, in modo cosciente o meno, sono stati architettati per accettarsi in una verità costruita.
Rimuovere gli alibi ed accettare di conseguenza la punizione ricevuta sono due punti focali attraverso i quali può iniziare la ricostruzione del nostro nuovo piano di vita consapevoli sin da subito che etica e morale sono principi non discutibili e quindi, come dogma, vanno accettati e perseguiti.
Tutto questo, qualora fosse possibile dovrebbe essere elaborato da tutti e costruire di fatto il percorso attraverso il quale si arriva alla riabilitazione.
C’è però una realtà scomoda che volontariamente viene dai più elusa perchè in un certo senso toglie il significato ad uno dei cardini del sistema carcerario, inteso come percorso rieducativo per essere riabilitati.
La realtà scomoda è:
“Qualunque sia il tuo percorso riabilitante si resta sempre e comunque un ex-detenuto, scarto della Società benpensante che ti ha bollato e nei fatti reali non ti accetterà più”
Questa è la verità, che non è solo amara, ma è in antitesi al concetto cristiano di perdono.
In altre parole la condanna che ci è stata comminata va interpretata così:
“ Tu sei diventato appartenente all’ultimo gradino del ceto sociale con la qualifica di detenuto per sempre, nonostante si riceva la restituzione della libertà dopo anni di detenzione.
Esaminato così il sistema carcerario resta esclusivamente una modalità punitiva tesa ad espellere in modo definitivo un individuo dalla Società; è in questo senso che non serve il carcere; e se non viene concessa una nuova opportunità per reintegrare realmente il soggetto, tanto vale eliminarlo dall’inizio.
Se la Riappacificazione non la si ottiene attraverso l’espiazione della pena, a cosa serve espiarla ? a cosa serve avere in circolazione uomini riabilitati se poi di fatto non saranno mai reinseriti in Società che tende ad allontanarli perché ex-detenuti ? Se non c’è un futuro a chi giova questa falsità concettuale ?
Una volta che il reo ritrova il suo equilibrio come può superare il pregiudizio di quanti sono propensi a confinarlo nel ruolo di emarginato ?
Domande senza risposta perché sono argomenti che non suscitano interesse nell’affrontarli o meglio non interessa a nessuno giungere ad una ipotesi di soluzione.
Per la nostra Società non esiste il problema e se esiste non c’è interesse alcuno nell’affrontarlo; ci sono altre “priorità “che fanno più audience.

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di Ennio (CH)


 REPUBBLICA ITALIANA
Come è stata  -  com’è ora  -  come sarà

2 GIUGNO 1946 – Festa della Repubblica che nasce a seguito di una votazione che registrò un’affluenza alle urne del 90% alla quale partecipano per la prima volta le donne, e con il 54,26 % viene scelta una Repubblica Parlamentare con una forma di governo rappresentativo eletto dal Parlamento; il cui Presidente viene eletto dal Parlamento stesso per un periodo determinato.  
 Oggi giugno 2019 dopo settantatré anni c’è chi la dà per morta, logorata dagli scandali, dalla corruzione, dalla partitocrazia, dall’inflazione e c’è chi invece, confidando ancora nei principi fondanti, le pronostica lunga vita per prolungare  il risultato più apprezzabile e  prestigioso sin qui conseguito: il più lungo periodo senza guerra
L’Italia di oggi è irriconoscibile, in superficie, rispetto a quella del ’46-47, ma ciò che si decise 73 anni fà nei giorni caldi e confusi della prima Repubblica in qualche modo è ancora lì, è ancora decisivo. Ognuno ne tragga le conclusioni che vuole, che siamo un paese solido, o un paese senza coraggio e senza inventiva. 
Bisognerebbe conoscere più a fondo il primo periodo della nostra prima Repubblica quando Grandi Uomini si trovano per dare corpo ad un’idea nata nel sangue di una lotta fratricida, ad una Nazione ed uno Stato unito nel rispetto dei valori, ed una delle scelte decisive della Repubblica è quella di una forma istituzionale che è la sola capace di sanare le divisioni del passato e di fare ponte per il futuro.
Tre tappe fondamentali: 
 La prima  - Aver dato vita alla Costituzione, in parte utopica ed ancor oggi non completamente applicata, ma certamente specchio di tutte le nobili aspirazioni e di tutte le perfezioni come tutte le costituzioni, ma non sovrapposta al paese e non distaccata dalle sue reali ambizioni.
L’Italia di oggi come quella di allora si riconosce in quella Costituzione che non è una copertura propagandistica ma è l’ultimo e decisivo capitolo di una crescita civile, non ancora compiuta totalmente, che è passata per il risorgimento, per  l’unità, per la prima rivoluzione industriale, per il fascismo. E poi dilatata ed accesa dalle concretezze e dalle illusioni della resistenza.
La seconda  -  E’ la scelta Occidentale: obbligata forse, implicita nelle divisioni del mondo in sfere di influenza e nella presenza nelle nostre città delle armate angloamericane, ma anche voluta dalla maggioranza.
La terza - La scelta industriale. La storia della nostra patria racconta come i bravi italiani della ricostruzione si accinsero di comune accordo e con identico entusiasmo a fare del paese la settima potenza industriale del mondo, ed in seguito nel 1960 la nostra moneta “la Lira” vince l’Oscar della moneta.

Per mancanza di una cultura industriale, si partiva essenzialmente da una visione contadina, ci sono state posizioni diverse ma, fu l’intelligenza degli uomini chiamati ad indirizzare lo sviluppo che non hanno ostacolato i diversi schieramenti. 
Questa è la sintesi di un periodo dove i valori comuni nei principi e negli interessi della cosa pubblica non venne mai meno a quanti, pur operando in schieramenti politici diversi, ci guidarono nei primi decenni di questa Repubblica che con tutte le contraddizioni emerse nel tempo ci ha lasciato comunque un’eredità ideologica, politica e storica difficile da comprendere.  

Da qualche tempo nella nostra Repubblica si registra un decadimento continuo della classe dirigente che, con un comportamento molte volte deplorevole per la rappresentatività del ruolo, che è intriso di leggerezze ed incapacità  nell’individuare, analizzare oltre che decidere sulle vere priorità del paese.  Questo ha contribuito nel far sì che negli anni nella maggior parte dei cittadini si è accresciuto il progressivo allontanamento dalla “cosa pubblica” ed in particolare da parte dei giovani che non educati a conoscere, ad analizzare per essere in grado di emettere valutazioni personali frutto di riflessioni critiche, sono portati a sostenere opinioni concepite irrazionalmente perché frutto di una propaganda faziosa intrisa di pregiudizi .
E’ pur vero che bisogna far appello a tutte le nostre certezze per non abbattersi quando con un’assiduità inaccettabile la cronaca ci mette al corrente di indagini avviate dalla Magistratura su politici di ogni tipo di schieramento a dimostrazione che molti di questi personaggi eletti mancano non solo di amore patrio ma anche di amor proprio incuranti di ogni giudizio a vantaggio di interessi personali.

Lobby, poteri economici, associazioni criminali hanno buon gioco a far crescere i loro traffici potendo contare su compiacenti “Onorevoli” ai quali siamo stati noi stessi, con la nostra superficialità, a dare il pass per  tali comportamenti.
E’ per me incomprensibile che troppi di quelli chiamati a ruoli di responsabilità invece di impegnarsi nel fare, operare e sottoporsi alla valutazione di gradimento in funzione di quanto realizzato, forse perché troppo intrisi di un “ego narcisistico”, rincorrano ed utilizzino i mass-media per una continua ricerca preventiva di audience avanzando soluzioni populistiche reclamate da frange di scontenti; oppure, invece che cercare di individuare e combattere le cause di una recrudescenza di atti criminosi  alimentano tensioni, paure ed insicurezza alfine di creare un’alibi per un interventismo repressivo generalizzato nel quale sia potenziato un sistema carcerario, la Prigione, accresciuto nel mero concetto punitivo.
Malgrado questa impietosa analisi sull’attuale stato del nostro paese, resta in me come in molti altri la concreta fiducia nella Costituzione; legge fondamentale dello Stato, ed in particolare nella Corte Costituzionale nata per proteggere il paese da sbandamenti ed errori che attraverso un’insieme di poteri realizza un  perfetto sistema di garanzie costituzionali.

Mediante queste garanzie ogni organo dello Stato è tenuto nei propri limiti; perciò la nostra Costituzione è rigida affinché nessun organo dello Stato superi i limiti ad esso assegnati, garantendo l’equilibrio dei comportamenti di tutte le funzioni al vertice della Repubblica, quale massima sicurezza che i diritti dei cittadini – la libertà, l’eguaglianza e la giustizia – non saranno violati.
Mi auguro che nelle nuove generazioni possa nascere una voglia di conoscenza e comprensione di queste tematiche, di un progressivo abbandono di una visione egoistica e  si possa invece sviluppare  una generalizzata sensibilità alla problematica sociale. In questo modo, nostro tramite, con una consapevolezza maggiore, limiteremmo l’incertezza politica che penalizza di fatto la crescita economica del Paese. 
 Non possiamo e non dobbiamo limitarci a manifestare il dissenso, dobbiamo responsabilizzarci ed esercitare il ruolo che ci è assegnato quello di scegliere i nostri rappresentanti sulla base delle reali competenze, capacità ed affidabilità anche nei valori morali necessarie ai progetti di vita che intendiamo perseguire.

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di Ennio (CH)/
Talento sprecato
Sfogliando un libro rientrato in biblioteca, come sono solito fare prima di riporlo nello scaffale, ho trovato piegato in quattro un foglio scritto in stampatello arricchito da un disegno molto ben fatto con questo titolo a firma di Davide Di Paolo, un ex detenuto mai conosciuto.
La curiosità mi ha portato a leggerlo ed il testo mi ha colpito per la riflessione  che Daniele, mi piace pensarlo come un ragazzo di giovane età che ha inciampato in qualche spiacevole disavventura, fà del mondo del calcio sport dal quale è particolarmente attratto e di cui sente la mancanza e nella consapevolezza della sua attuale condizione, con rammarico evidenzia l’opportunità persa forse da lui e da chi ha dimostrato capacità e talento sulla piazzola di cemento.
Mi è sembrato interessante condividerlo con Voi tutti, anche perché dall’ultima parola del suo scritto “…che peccato ! “ mi sembra di percepire la voglia di recupero, di riscatto  o almeno mi piace pensarla in questo modo. Il testo:

"In ogni luogo del nostro pianeta……….un “bambino”, di qualsiasi colore sia la sua pelle, o qualsiasi  lingua egli parlerà nel suo futuro; messo nella condizione di scegliere tra un molteplice numero di giocattoli, sicuramente andrà, statistiche alla mano verso una palla…....possibilmente da prendere a calci, e da lì nasce il più famoso e amato gioco planetario, che unisce o divide i popoli e che farà gioire e penare allo stesso tempo.
La mia ottica nel vedere questo meraviglioso sport, chiamato football nella lingua più diffusa, è cambiata radicalmente negli ultimi tempi avendo perso la libertà, ed essendo una piazzola di cemento ed un pallone l’unica attività sportiva dedicata a noi detenuti.
Incuriosito nel guardare tante etnie differenti, con il fisico più o meno predisposto, rincorrere una palla per puro divertimento o per dimostrare chissà cosa, non ho potuto fare a meno che constatare che tra noi detenuti, c’era qualcuno che, obiettivamente parlando avrebbe potuto avere una carriera sportiva tanto belle erano le sue giocate, che ci inorgoglivano, consci del fatto che anche chi sbaglia nella vita è capace di procurare emozioni positive ed esaltazioni di massa.
Di una cosa mi sto convincendo con l’andar del tempo, che fra queste quattro mura c’è molto, ma molto talento sprecato………………che peccato!!!


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di Ennio (CH)
E dopo il teatro...una riflessione
Oggi sabato 4 maggio TEATRO; spettacolo che ci ha allietato il pomeriggio offertoci dai fratelli detenuti di Pescara. “Dalle sbarre alle stelle” una testimonianza in un messaggio di speranza verso cui tutti noi protendiamo e che abbiamo assorbito in uno strano assoluto silenzio per tutta la durata. Una eccellente interpretazione di tutti nella quale un capace regista ha voluto dare risalto alla naturalezza delle espressioni su un testo  così vero che ognuno di noi, credo, si sia sentito attore della propria realtà riconoscendosi in alcuni passaggi.
E’ piaciuto in particolare il progetto che ci è stato enunciato circa la volontà di volerlo presentare in vari teatri a beneficio di studenti e gente comune. Ambasciatori del nostro mondo che non è noto ai più, demonizzato da molti, avversato e rifiutato da quasi tutti.
Ma se è vero che la conoscenza riduce ed a volte permette di superare le barriere allora è necessario che al di fuori si faccia conoscere la parte vera e comune del carcere: un luogo di sofferenza dove tutti combattono per migliorarsi e rinascere a nuova vita e molti ci riescono.

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di Ennio (CH)
VIOLENZA SULLE DONNE
Scenari, Esperienze e possibili vie d’uscita

E’ imbarazzante scrivere su questo tema perché è assurdo, inqualificabile ed evidenzia in modo dissacrante l’immagine dell’uomo incapace di evolversi nel rapporto con l’altro essere. Per mancanza di cultura e con una supponenza tipica di chi ha una visione distorta della propria personalità, molti uomini nonostante professino in apparenza un atteggiamento disponible e di comprensione, non sono in grado di sostenere argomentazioni o confronti in una dialettica condotta con la ragionevolezza ed obiettività.
La mancanza di personalità accresce l’insicurezza, spaventa e spinge i più a non ascoltare, a non accettare il dialogo, a non volere il confronto. La forma più abietta di un IO malato si sente messa in discussione e spinge a zittire la compagna ormai trasfigurata in una rivale perché non accetta più la figura predominante dell’uomo, anzi la contesta e la mette in dubbio nel rapporto di coppia.
Qualcosa di ancestrale e non educato sin dalla nostra prima infanzia riemerge in modo inconsulto: la volontà di prevalere, affidando alla forza il sostegno delle argomentazioni, per riaffermare il principio di supremazia; impulso che monta al punto di cancellare l’affettuosità dei sentimenti offuscandone la sensibilità.
Dobbiamo crescere nell’educazione e nella cultura del rispetto dell’altrui diritto, non perché donna, ma perché trattasi di un essere dotato come noi di una propria capacità intellettiva; come noi capace di produrre un’idea, una soluzione, un suggerimento e quindi meritare stima e considerazione per le sue qualità.
Apprezzarla come risorsa, come punto di riferimento, come equilibratore delle nostre impulsività; mirare all’integrazione delle sue capacità nel nostro egoistico pensiero di vita, per crearne uno, che la coinvolga al punto tale da renderla e farla sentire meritevole di uguale prestigio e dignità.
Conoscenza, crescita culturale, educazione sono le vie attraverso le quali si possono accrescere le qualità morali e formare caratteri di individui più disposti e preparati al confronto delle proprie idee, che rivaleggiare per sottoporre l’altra alla propria egemonia.
E’ un percorso lungo, lento ma che deve partire sin dall’infanzia per aiutare i ragazzi a dialogare su basi di reciproco e pari  rispetto; periodo di crescita nel quale senza pregiudizi e senza essere influenzati da retaggi culturali ( come quello di indurre il maschio alla scontrosità e brutalità caratteriale per essere considerato nel sinonimo di mascolinità) si può educarli a valutare la qualità delle opinioni sulla base dei loro contenuti in un libero confronto, in modo da accrescere conoscenza e competenza indipendentemente da chi li espone.
Solo così ci si prepara a saper ascoltare, valutare ed accettare pareri diversi dai propri e perseguendo la volontà di ricercare il giusto, diventa normalità mettendo da parte la propria opinione ed  aderire a quella corretta suggerita dalla propria compagna, senza che questo sminuisca le peculiari caratteristiche dell’essere maschio.
Nella ormai datata storicità l’uomo è stato da sempre considerato e riconosciuto come il “primus” nella coppia, il suo ruolo era quello destinato a produrre il sostentamento, difesa e miglioramento del nucleo; a lui competevano le decisioni e la donna era relegata al ruolo di comparsa.
Venivano scelte e/o comperate per completare la vita dell’uomo e nell’antichità la proprietà sulla donna era totale e completa e dal genitore passava per contratto ed usualità al marito.
Ecco questi concetti ancora presenti in culture non occidentali, ci sembrano lontani e non più perseguibili, ma alcune volte si ritrovano radicati in persone incapaci di accettare un confronto paritetico con la donna alla quale, a loro parere, non possono e devono essere delegate alcune delle funzioni tipicamente maschili.

di Ennio (CH)

Poesie

RINASCITA
Alcuni giorni quando è così pesante l’aria
da non bastarti per respirare
allora cerco aiuto nel tuo ricordo
trattenendo dentro l’urlo lacerante
di chi non ha più vita.

Alcuni giorni non basta la mia solita maschera
per nascondere il mio dolore a quanti
incrociano il mio sguardo fuggente
mentre cerco di ritrovare il coraggio
per proseguire il mio andare

Alcuni giorni vien meno la voglia di vivere
perché consapevole di essere stato escluso
diventa lacerante immaginarsi
corpo estraneo a quanto ti circonda

Fra alcuni giorni quando ti sarai ritrovato
e guarderai il sole nascere
avrai la certezza che le ombre ti resteranno dietro senza più offuscare
la rinata luce.
….

SIRENA
Il ricordo di te come sirena mi ammalia
e chiudendo gli occhi netta è la sensazione
del calore e della soavità del tuo corpo.
Né percepisco il profumo che mi inebria i sensi
tanto che il restare fuori dal clamore intorno
è ancora più piacevole.
Ho scoperto così come, a tratti,
è accettabile questa vita non vissuta.
……

SOLO
Solo in un angolo buio a leccarsi le ferite
sino a quando la mancanza di saliva
ti asciuga la bocca e senti
amara anche la tua pelle

E quando non potrai più fuggire alla luce
sarai costretto a calzare la maschera,
che se pur consumata nel tempo,
ancora ti illuderà nel sopravvivere quotidiano

Ma se schivi gli sguardi di quanti incontri
lo è per evitare che i tuoi occhi possano tradirti
e rivelare il sopito urlo che lacererebbe
quest’aria infetta di farisaici benpensanti

Nessuno sa, nessuno conosce la caduta
e la conseguente profonda ferita che per gli altri
è destinata a diventare purulenta
che mai si rimarginerà e come etichetta ti bollerà
per fornire l’alibi all’emarginazione che ti aspetta

Parole ed ancora parole propinate a turno
per diluire una stridente realtà:
“Non si torna alla libertà,
si rimane solo fuori da tutto quello
che vorremmo tornare ad essere”

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