Comunicato - Il carcere al tempo del Coronavirus…come vuotare il mare
con paletta e secchiello
Casa circondariale di Pescara: oltre 400 detenuti in una struttura che ne può contenere 270
Casa circondariale di Chieti: oltre 150 detenuti in una struttura che ne
può contenere 79
Casa circondariale di Lanciano: oltre 300 detenuti in una struttura che
ne può contenere 230
Casa circondariale di Teramo: oltre 430 detenuti in una struttura che ne
può contenere 250
Casa di reclusione di Sulmona: oltre 450 detenuti in una struttura che ne può contenere 303
Sono cominciate anche in Abruzzo, seppure con molta
lentezza, le prime azioni di buon senso inviando ai domiciliari persone con
pene residue al di sotto dei 18 mesi e detenuti anziani o con gravi patologie.
Una corsa ai ripari in grande affanno
per una grave carenza di funzionari giuridici pedagogici (appena 30 su una
popolazione di circa 2 mila detenuti), cancellieri del tribunale, magistrati di
sorveglianza ora tutti impegnati nell’avvio di pratiche per la chiusura delle
sintesi comportamentali e di verifiche dei requisiti. All’improvviso, di fronte
all’emergenza, si fanno i conti con un sistema penale più attento alla
punizione che alla rieducazione.
Molte e gravi le criticità: nel carcere di Chieti
scarseggiano prodotti per l’igiene (rinnoviamo l’invito a enti, associazioni,
aziende di portare direttamente in carcere, in via Ianni, saponi, detersivi e
disinfettanti, specificando in portineria “offerta con Voci di dentro per i
detenuti di Chieti”); nel carcere di Pescara personale medico allo stremo e
insufficiente (1 medico e 1 infermiere per turno, 1 specialista a settimana) e
detenuti con la febbre “curati” con tachipirina ma non isolati dagli altri;
sempre a Pescara chiusi i semiliberi e gli articoli 21; agenti di polizia
insufficienti: 1 ogni tre sezioni. Un ispettore ci dichiara: “cerchiamo di
parlare con i detenuti, facciamo del nostro meglio, ma la preoccupazione del
contagio è altissima”. Una parente di un detenuto: “Le telefonate quotidiane di
10 minuti sono assicurate, almeno quelle, ma Skype non funziona”.
Dal carcere di Chieti scrivono: “ Non è vero che la
nostra protesta nasce dalla sospensione dei colloqui con i nostri famigliari:
siamo in grado di capire e sufficientemente consapevoli che il blocco dei
colloqui è stato deciso per ridurre le possibilità di contagio anche con i
nostri cari. Protestiamo con la battitura serale per il diritto alla salute,
diritto che ognuno di voi ha ed a noi non viene tutelato. Siamo spaventati a
dover immaginare cosa succederebbe nel nostro carcere in caso di contagio da Coronavirus,
qui dove conviviamo in 6 o 7 in celle di circa 20 metri quadri. Voi che siete
fuori potete disporre di 1 metro attorno evitando gli assembramenti e riunioni;
e noi? Possiamo vivere accalcati, ammassati come gregge in un ovile? Possiamo
correre il rischio di ammalarci perché siamo detenuti? E questo quello che una
società civile ha inserito nel decalogo di vita?
Desideriamo e richiediamo con fermezza che questo
tragico momento possa spingere verso una soluzione vera e definitiva di questo
sistema carcerario che nei suoi comportamenti punitivi è il più retrogrado tra
i paesi civilizzati, prova ne sono le sanzioni ricevute dalla Corte Europea.
Per questa ragione è stato indetto lo sciopero della fame, che è in vigore da
lunedì 9 marzo. Abbiamo sospeso già da domenica sera l’acquisto dei generi di
sopravvitto e per dimostrare coerenza con le nostre dichiarazioni abbiamo
inviato alla Caritas di Chieti quanto ognuno dei detenuti aveva come scorte
alimentari”.
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