sabato 14 marzo 2020

Il carcere al tempo del Coronavirus…come vuotare il mare con paletta e secchiello


Comunicato - Il carcere al tempo del Coronavirus…come vuotare il mare con paletta e secchiello

                      Casa circondariale di Pescara: oltre 400 detenuti in una struttura che ne può contenere 270

Casa circondariale di Chieti: oltre 150 detenuti in una struttura che ne può contenere 79

Casa circondariale di Lanciano: oltre 300 detenuti in una struttura che ne può contenere 230

Casa circondariale di Teramo: oltre 430 detenuti in una struttura che ne può contenere 250

Casa di reclusione di Sulmona: oltre 450 detenuti  in una struttura che ne può contenere 303

Sono cominciate anche in Abruzzo, seppure con molta lentezza, le prime azioni di buon senso inviando ai domiciliari persone con pene residue al di sotto dei 18 mesi e detenuti anziani o con gravi patologie. Una corsa ai ripari  in grande affanno per una grave carenza di funzionari giuridici pedagogici (appena 30 su una popolazione di circa 2 mila detenuti), cancellieri del tribunale, magistrati di sorveglianza ora tutti impegnati nell’avvio di pratiche per la chiusura delle sintesi comportamentali e di verifiche dei requisiti. All’improvviso, di fronte all’emergenza, si fanno i conti con un sistema penale più attento alla punizione che alla rieducazione.

Molte e gravi le criticità: nel carcere di Chieti scarseggiano prodotti per l’igiene (rinnoviamo l’invito a enti, associazioni, aziende di portare direttamente in carcere, in via Ianni, saponi, detersivi e disinfettanti, specificando in portineria “offerta con Voci di dentro per i detenuti di Chieti”); nel carcere di Pescara personale medico allo stremo e insufficiente (1 medico e 1 infermiere per turno, 1 specialista a settimana) e detenuti con la febbre “curati” con tachipirina ma non isolati dagli altri; sempre a Pescara chiusi i semiliberi e gli articoli 21; agenti di polizia insufficienti: 1 ogni tre sezioni. Un ispettore ci dichiara: “cerchiamo di parlare con i detenuti, facciamo del nostro meglio, ma la preoccupazione del contagio è altissima”. Una parente di un detenuto: “Le telefonate quotidiane di 10 minuti sono assicurate, almeno quelle, ma Skype non funziona”.

Dal carcere di Chieti scrivono: “ Non è vero che la nostra protesta nasce dalla sospensione dei colloqui con i nostri famigliari: siamo in grado di capire e sufficientemente consapevoli che il blocco dei colloqui è stato deciso per ridurre le possibilità di contagio anche con i nostri cari. Protestiamo con la battitura serale per il diritto alla salute, diritto che ognuno di voi ha ed a noi non viene tutelato. Siamo spaventati a dover immaginare cosa succederebbe nel nostro carcere in caso di contagio da Coronavirus, qui dove conviviamo in 6 o 7 in celle di circa 20 metri quadri. Voi che siete fuori potete disporre di 1 metro attorno evitando gli assembramenti e riunioni; e noi? Possiamo vivere accalcati, ammassati come gregge in un ovile? Possiamo correre il rischio di ammalarci perché siamo detenuti? E questo quello che una società civile ha inserito nel decalogo di vita?

Desideriamo e richiediamo con fermezza che questo tragico momento possa spingere verso una soluzione vera e definitiva di questo sistema carcerario che nei suoi comportamenti punitivi è il più retrogrado tra i paesi civilizzati, prova ne sono le sanzioni ricevute dalla Corte Europea. Per questa ragione è stato indetto lo sciopero della fame, che è in vigore da lunedì 9 marzo. Abbiamo sospeso già da domenica sera l’acquisto dei generi di sopravvitto e per dimostrare coerenza con le nostre dichiarazioni abbiamo inviato alla Caritas di Chieti quanto ognuno dei detenuti aveva come scorte alimentari”.

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