mercoledì 30 novembre 2022

Sartoria sociale, come ricucire un futuro per abiti e persone


È la prima impresa sociale nata a Palermo in un bene confiscato alla mafia. Una realtà imprenditoriale che offre una opportunità concreta di lavoro a persone svantaggiate o in situazioni di disagio




di Claudio Bottan

Tutti abbiamo avuto le nostre difficoltà. Anzi, “tutti siamo ex di qualcosa” ama ripetere Rosalba Romano, socia fondatrice e volontaria della cooperativa sociale Al Revés di Palermo che ha dato vita a “Sartoria sociale”. Si tratta di un’impresa nel campo del riciclo tessile e sartoriale, che ha sede in un bene confiscato alla mafia e gestisce anche un laboratorio di cucito presso la casa Circondariale Pagliarelli. “Siamo persone che non si vergognano di ammettere le proprie debolezze - aggiunge Rosalba - e che, nello spirito di una rete di solidarietà, si danno e danno una mano. Prova ne è che il nostro servizio non ha chiuso nemmeno un giorno durante la pandemia, che abbiamo affrontato producendo mascherine e portandole ovunque. Siamo persone qualsiasi, cittadini che hanno scelto di non cedere alla crisi depressiva”. 


La cooperativa, che si occupa di reinserimento socio-lavorativo di persone emarginate, nel corso degli anni ha intessuto una rete di professionisti del cucito, educatori, operatori sociali e cittadini, lavorando su progetti di sostenibilità ambientale, equità sociale ed educazione alla legalità offrendo una opportunità concreta di lavoro a persone svantaggiate o in situazioni di disagio. La storia della Sartoria Sociale nasce nel 2012 per offrire un servizio di presa in carico dei cosiddetti loosers (persone senza speranza di vita) e favorire l'inclusione socio-lavorativa e socio-relazionale. Il progetto coinvolge giovani e meno giovani, di varie etnie, nel lavoro artigianale e nel recycling di abbigliamento usato, favorendo lo sviluppo di pratiche virtuose e percorsi di educazione al lavoro. Ad esempio, con la nascita nel 2013 del Pagliarelli Lab: nella sezione femminile del carcere Pagliarelli di Palermo le detenute vengono formate e avviate alla manifattura tessile, con l'obiettivo della risocializzazione e del reinserimento professionale. 

La svolta nel 2017, quando il comune di Palermo consegna alla cooperativa Al Revés un locale in Via Casella 22, appartenuto al boss mafioso Antonino Buscemi. Con la nuova sede prende forma il progetto Sartoria Sociale, sostenuto da Fondazione con il Sud e Fondazione Vismara: esplorare tutte le potenzialità dell'imprenditoria sociale, trovare nuovi partner commerciali, creare opportunità di lavoro, aggregare professionalità e gruppi di interesse e incoraggiare il coinvolgimento della comunità attorno allo stile di vita equo e solidale. Sartoria Sociale attiva così nuove partnership con enti, scuole, e associazioni, per un'azione più capillare e profonda sul territorio, agganciando importanti realtà come AddioPizzo, Libera, il Consorzio Arca, la Fondazione Progetto Legalità Onlus, l'Accademia di Belle Arti di Palermo, Tcbl Textile & Clothing Business Labs (il network europeo delle imprese tessili interessate a sperimentare nuovi modi di produrre e lavorare insieme) e altre realtà istituzionali. Oggi il network di artigiani e collaboratori della Sartoria si avvale anche di Ape & Filo, Sartoria Sociale on the road, una motoApe attrezzata come un vero laboratorio tessile su strada che viene utilizzato per le attività sui territori e per le iniziative sociali di mobilità. "Le attività rivolte a persone in difficoltà, con una costante attenzione ai migranti - sottolinea ancora Rosalba Romano -, si fondano sulla convinzione che l'inclusione non si dice, ma si fa. In quest'ottica la cooperativa Al Revés, presieduta più volte da una donna nigeriana immigrata, è oggi partner di un progetto nazionale dal titolo "Costruire Futuro", che si rivolge a minori stranieri non accompagnati con l'obiettivo di un'attenzione individualizzata verso la costruzione di percorsi esistenziali aperti ed inclusivi".

È la prima impresa sociale nata a Palermo in un bene confiscato alla mafia. Una realtà imprenditoriale che non vuole essere identificata con un progetto, ma come servizio frutto di un impegno di comunità, della storia di comunità. Persone che si scelgono e che diventano famiglia, della quale fanno parte coloro che ci lavorano al pari dei clienti. “Gestire un bene confiscato è una grande responsabilità. Vuol dire testimoniare la legalità, non con le parole ma con i gesti quotidiani. Il bene comune siamo tutti noi quando costruiamo percorsi di solidarietà e sussidiarietà che vanno oltre l'Io e oltre le parentele. I nostri amici, soci e volontari ci hanno sempre spronato e sostenuto nella scelta della legalità, tema difficile in un settore artigianale come il tessile che vive nel nero. E il lavoro nero, lo dico forte e chiaro, alimenta la criminalità e lo schiavismo delle persone. Ora, però, guardiamo al futuro continuando a fare sogni che poi speriamo si tramutino in realtà” continua Rosalba Romano. Dieci anni di storia nel sociale sono tanti. “Oggi possiamo dire di avere raccolto 20 tonnellate di scarti tessili che, dopo la carta, sono i più inquinanti al mondo. Il 90% è stato rimesso in circolazione con la vendita vintage e con il riutilizzo dei tessuti attraverso le nostre produzioni. Abbiamo accolto e seguito oltre 500 persone tra migranti, persone con problemi di salute mentale, soggetti che hanno avuto incidenti di percorso con la giustizia o che hanno incontrato altre difficoltà. Non è stato facile, perché lavorare con le persone adulte significa superare pregiudizi, dare voce alle sofferenze maturate durante la vita, non giudicare, allenarsi alla convivenza, testimoniare le scelte e i valori morali. Lavorando con gli adulti bisogna mettersi in gioco e dare l’esempio per essere credibili e accoglienti; significa anche educare la genitorialità, aprirsi alle esigenze dei figli e ampliare gli orizzonti sulle prospettive”.

“La Sartoria Sociale è la dimostrazione concreta che siamo tutti importanti l'uno per l'altro – tiene a precisare la presidente, Roseline Eguabor -, ma bisogna essere pazienti con tutti perché ogni pianta ha bisogno del suo tempo per crescere. Abbiamo fatto tutti i nostri errori, dai quali possiamo solo migliorare. Io sono la dimostrazione che, incontrando le persone giuste, puoi trovare la tua strada. Vengo dalla Nigeria e sono a Palermo da oltre vent'anni. Sono arrivata perché, facendo parte di una famiglia numerosa, avevo la possibilità di sposarmi molto giovane o di andare via. Quando, però, sono arrivata, ho capito che dovevo ricominciare tutto dall'inizio. Tutti i miei sogni si erano frantumati, ma ho avuto la fortuna di trovare una famiglia italiana che mi ha aiutato, così ho poi deciso di fare la mediatrice culturale perché ho capito quanto fosse importante non essere lasciati da soli. Per molte ragazze questo non accade e cadono in un burrone dal quale difficilmente riescono a uscire, anche volendolo. Ecco anche perché per me è importantissima l'istruzione, in quanto può offrire opportunità di scelta a tutte quelle giovani donne che incontrano persone che, di fronte alle loro difficoltà, offrono loro di imboccare strade pericolose”. Un lavoro non indifferente quello che si è fatto, e si continua a fare, in Sartoria Sociale per costruire una rete valoriale nella quale nessuno debba avere più paura di essere semplicemente sé stesso. 

Quest’anno, anche per far fronte all’aumento dei costi dell’energia che colpisce soprattutto le imprese del terzo settore, il Natale Solidale di Sartoria Sociale ha un significato particolare che si lega al Panettone Giotto realizzato nel carcere di Padova e premiato dal New York Times. La busta portatutto o il comodo portateglia conterranno anche la speranza delle donne detenute al Pagliarelli che le realizzeranno. Da non perdere. 


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