clicca qui e guarda il foto-reportage
testi e foto
di Alessandro Fusillo
e Silvia Civitarese
di Alessandro Fusillo
Raggiungiamo Dyarbakir il 3 novembre. Quasi due ore di volo da
Istanbul fin nel cuore dell Anatolia sud orientale. Prima della partenza
le notizie su ciò che accade al confine turco-siriano: i missili
lanciati contro le città turche di confine, le incursioni dell’esercito
turco in territorio siriano, i profughi in fuga dalla guerra civile
avevano messo in dubbio l’opportunità di questo viaggio. Siamo una
delegazione internazionale composta da italiani, spagnoli, sloveni,
lituani e turchi. Il nostro progetto Voices from inside sta cercando di
approfondire e comparare la situazione carceraria e le politiche di
reinserimento lavorativo per detenuti ed ex detenuti in diversi contesti
europei. La Turchia, terza tappa di questo percorso dopo Italia e
Lituania,
ne rappresenta un momento chiave. Perché le tematiche legate alle carceri in questa parte della paese sono un punto critico, in grado di far vacillare i pilastri dello stato turco e riaprire questioni irrisolte che proprio in questi mesi si stanno riacutizzando. Perchè Dyarbakir non è semplicemente una grande città della Turchia, è la capitale del Kurdistan turco. Qui, dopo il colpo di stato militare del 1971, Öcalan, come molti altri studenti di sinistra provenienti dall’Università di Ankara e costretti a lasciare gli studi, si arruolò nel servizio civile. Sette anni dopo avrebbe fondato il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).
ne rappresenta un momento chiave. Perché le tematiche legate alle carceri in questa parte della paese sono un punto critico, in grado di far vacillare i pilastri dello stato turco e riaprire questioni irrisolte che proprio in questi mesi si stanno riacutizzando. Perchè Dyarbakir non è semplicemente una grande città della Turchia, è la capitale del Kurdistan turco. Qui, dopo il colpo di stato militare del 1971, Öcalan, come molti altri studenti di sinistra provenienti dall’Università di Ankara e costretti a lasciare gli studi, si arruolò nel servizio civile. Sette anni dopo avrebbe fondato il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).
Il 5 novembre ci riuniamo con tutta la delegazione internazionale
nella periferia di Diyarbakir in visita presso la scuola di formazione
professionale nel turismo Otelcilik, partner del progetto. Dall’aprile
2012 la scuola ha avviato 2 corsi professionali proprio all’interno
della prigione di tipo E di Diyarbakir. I corsi di formazione per cuoco e
cameriere coinvolgono 50 detenuti. Hanno come obiettivi il
miglioramento della qualità del cibo e del servizio all’interno della
prigione e soprattutto fornire una chance di vita migliore dopo la
detenzione. Il progetto europeo Grundtvig, Voices from inside, è stato
fondamentale per consentire l’accesso della scuola Otelcilik alle
politiche di reinserimento lavorativo e l’avvio dei corsi ha
rappresentato per tutti noi un ottimo risultato. Nel corso dei meeting
internazionali le organizzazioni partner si sono poste l’obiettivo di
visitare i vari carceri locali per avere un riscontro sul campo
dell’impegno dei membri. Otelcilik, sposando questa metodologia, si è
attivata da settembre nel cercare di organizzare la visita nel carcere
di Diyarbakir, facendo richiesta ufficiale per la visita alle strutture
governative preposte. Come operatori sociali impegnati nelle carceri ci
sembrava un’importante occasione visitare il carcere proprio nei giorni
in cui uno sciopero della fame di portata nazionale aveva avuto qui il
suo epicentro. Nel corso dell’incontro avremmo avuto una risposta sulla
fattibilità della visita sul campo.
Gli amici dell’organizzazione ci accolgono con una presentazione in
cui ci documentano i dati sulle carceri turche e sullo sciopero in
corso. Alcuni dati colpiscono: i detenuti turchi accusati di terrorismo
sono quasi 9000, di questi metà in attesa di sentenza definitiva. Il
livello di educazione medio di questi detenuti è alto. Moltissimi di
loro sono kurdi. E’ evidente che nelle prigioni turche sono rinchiusi
deputati, sindaci, sindacalisti, giornalisti, intellettuali e studenti
accusati di reati di opinione per i quali sono previste pene pesanti (la
stesssa Unione Europea ha ripetutamente segnalato nei suoi rapporti
questa situazione suscitando le dure reazioni di Ankara che giudica le
valutazioni non equilibrate). Secondo Otelcilik lo sciopero della fame
coinvolge 683 detenuti in 66 diverse carceri. Ci tengono a sottolineare
come lo sciopero non sia contro le condizioni generali delle carceri e
la richiesta non sia un loro miglioramento. Le ragioni di questa estrema
forma di lotta sono strettamente politiche: il diritto di difesa nella
propria lingua madre, dunque il kurdo; un sistema educativo che si basi
sulla propria madrelingua e soprattutto la fine dell’isolamento per il
proprio leader. 68 di questi detenuti che per primi hanno iniziato lo
sciopero, nutrendosi solo con acqua con sale e zucchero e vitamina B1,
sono già in serio pericolo di vita e riporteranno comunque danni
permanenti. Mi domando quale forza d’animo, quali motivazioni e
convinzioni profonde spingano uomini e donne ad affrontare una strada
nichilista di sofferenza come quella della privazione del cibo. Tanto
più dura in una condizione precaria come quella carceraria. L’incontro
si conclude con la notizia che purtroppo ci aspettavamo: la visita in
carcere è stata annullata, la autorità turche non hanno dato alcuna
risposta alla richiesta di Otelcilik di visitare con una delegazione
internazionale il carcere di Diyarbakir, seppure nello stesso carcere
lavorassero già da tempo. Un vero è proprio schiaffo al nostro progetto,
al suo obiettivo di dare trasparenza e dignità alla condizione
detentiva.
Il giorno seguente attraversiamo di nuovo la sconfinata periferia di
Diyarbakir per visitare la lavanderia di Sadil, ex detenuto. Mi fanno
notare quanto sia nuova l’urbanistica di questa parte della città, tutta
fatta di alti palazzi ed ingressi sorvegliati. La città odierna è il
frutto del processo di urbanizzazione forzata che il governo turco ha
attuato in questa parte del Paese. I contadini sono stati spinti a
lasciare le campagne per la città e Diyarbakir in qualche decennio è
passata dai 140000 abitanti del 1970 ad oltre un milione e mezzo di
persone. Gli amici kurdi sostengono che questo processo sia dovuto alla
maggiore capacità di controllo dello Stato sugli abitanti di una
metropoli che sui contadini sparsi su vaste aree e dunque terreno
fertile per il PKK. Arriviamo da Sadil che ci accoglie nella sua nuova
attività, ci offre un the, vicino ha suo figlio sorridente. Sadil ce
l’ha fatta, dopo 4 anni di carcere, ha ottenuto un finanziamento da
parte dei servizi sociali. Il governo gli ha garantito un prestito di
7000 euro da restituire dopo 2 anni. Sadil ha realizzato il suo sogno di
aprire una lavanderia nella città vecchia. Ed ora, visto il successo
della sua prima attività, si è trasferito in questi grandi quartieri in
espansione. E’ felice e riconoscente nei confronti della comunità che
gli ha offerto una nuova opportunità.
Questa storia di riscatto conclude il nostro meeting in Diyarbakir,
ci avviamo verso l’aeroporto. Osservo il fiume Tigri scorrere placido,
tra queste terre, culla della civiltà. Non posso che pensare ai detenuti
in sciopero della fame, alla loro determinazione nell’affermare la
propria identità, alla forza della loro lotta. Il governo turco ha
dimostrato ancora tutta la sua reticenza a chiarire la situazione dei
detenuti politici kurdi.
Quando finirà questa oppressione?
Ricordo i versi letti in Canti d’amore e libertà del popolo kurdo:Quando finirà questa oppressione?
Quando prendi un suo raggio
e con quello scrivi,
ti fa visita il sole
e ti regala un libro.
Quando sai leggere
le parole dell’onda
ti fa visita l’acqua
e ti regala la sua ninfa più bella.
E quando ti si accende nel cuore
l’amore per gli oppressi
ti fa visita il futuro
e ti offre tutta la felicità del
mondo.
Post scriptum: E’ finito domenica 18 novembre lo sciopero della fame dei detenuti curdi che durava da 68 giorni. Sabato 17, Ocalan aveva lanciato un appello dal carcere d’Imrali per la fine dello sciopero che coinvolgeva ormai oltre 700 detenuti.
di Silvia Civitarese
Oggi 14 novembre 64° giorno di sciopero della fame nelle carceri turche. Sciopero iniziato lo scorso 12 settembre nel carcere di Diyarbakir , città dove la scorsa settimana si è svolto il 3° meeting del progetto europeo grundtvig “ Voci di dentro’’ . Ma le voci dentro quella prigione non abbiamo potuto raccoglierle, i nostri partner locali hanno infatti richiesto alle autorità il permesso per una visita ma non hanno ottenuto neanche un cortese riscontro. Nulla, non un diniego ufficiale e nemmeno l’autorizzazione ad un incontro formale con la direzione. Il problema è “ hot “ o meglio non esiste finche non se ne parla. Arrivando a Diyarbakir sui ponti delle soprelevate e sui semafori vedi un numero che viene aggiornato quotidianamente senza troppe spiegazioni, ma questa è la capitale virtuale di quella nazione fantasma che è il Kurdistan e i curdi, o meglio i “ turchi delle montagne”, come qui vengono definiti perché in Turchia il governo ha deciso che ci sono solo turchi, sanno bene cosa significa. Sono infatti i detenuti curdi quelli che qui hanno iniziato lo sciopero della fame per difendere la propria identità, al quale hanno via via aderito anche da altre prigioni molti di quei politici, scrittori, giornalisti ed intellettuali che riempiono le carceri di questo paese avendo creduto nella libertà di espressione. Non possiamo dar voce a chi ha deciso di lasciarsi morire piuttosto che rinunciare a lottare per quelli che considera principi irrinunciabili : parità di diritti, dignità e libertà ma sappiamo che se potessimo udirla questa avrebbe la dolcezza e la rotondità della lingua curda. Che è diversa dal turco, parlata comunemente in queste zone, che non è un dialetto ma una lingua letteraria , nazionale, storica ma che è vietata a scuola, nei documenti , nei tribunali dove si decide la sorte di quelli che ne difendono la tradizione. I nostri ospiti non ci hanno dato l’impressione di essere terroristi separatisti parlando e insegnando a noi le parole di sopravvivenza e cortesia curde, o portandoci in un locale ad ascoltare e ballare musica rigorosamente Kurdish, hanno invece così condiviso con noi la nostalgia e la veemenza , il romanticismo e la spavalderia la dimensione intima e insieme mitica di questo popolo estremamente ospitale e generoso. E il paesaggio ha la stessa forza evocativa : gli altopiani , le spondei dell’ epico Tigri , il ponte a nove arcate sui quale è passato Marco Polo sulla via della seta o San Paolo dirigendosi a Roma, mura di basalto nero , moschee e monasteri, minacciose fortezze arroccate e distese di terra ruvida ma fertile. Forse non so abbastanza della storia e della politica della Turchia o delle genti curde ma credo nell’arricchimento che viene dalle differenze, dalle commistioni, dal dialogo tra voci diverse e dalla comprensione delle esigenze dell’altro: cioè quello che il nostro comune progetto europeo promuove e favorisce.
Nessun commento:
Posta un commento