Signor Presidente, onorevoli deputati, mi sia innanzitutto consentito rivolgere al signor Presidente della Repubblica, garante del corretto equilibrio tra i poteri dello Stato e custode della nostra Costituzione, un deferente ossequio cui aggiungo il mio personale ringraziamento per le parole di considerazione e di incoraggiamento che ha inteso rivolgermi in occasione di incontri istituzionali.
Un saluto particolare desidero rivolgere anche a lei, signor Presidente della Camera, che con saggezza ed equilibrio guida i lavori di questa Assemblea che nei prossimi mesi sarà chiamata ad adottare anche in materia di giustizia decisioni di grande importanza.
Onorevoli deputati, per la prima volta sono chiamata ad illustrare in quest'Aula, ove risiede la massima espressione della sovranità popolare, l'andamento dell'amministrazione della giustizia nel corso del 2011 nonché gli interventi che il Governo ha già adottato o si prefigge di adottare durante l'anno in corso. Sarebbe inutile nascondere l'emozione di un esordio che ben posso dire inatteso sino a poco tempo addietro, emozione che diventa più intensa non solo per la solennità di questo luogo ma anche per la piena consapevolezza che il Governo di cui faccio parte, comunque lo si voglia definire, trae la sua unica fonte di legittimazione dalla larga fiducia che il Parlamento ha inteso riconoscergli, offrendo una prova di coesione nazionale di cui tutti gli italiani possono andare orgogliosi. Questa circostanza vale di per sé ad alimentare il senso di responsabilità per le scelte che il Governo sarà chiamato ad operare in materia di giustizia, in armonia con la maggioranza parlamentare che lo sostiene e con tutta la condivisione possibile nel comune intento di servire il Paese in tempi così difficili.
Al termine del mio intervento depositerò una completa documentazione sullo stato della giustizia anche su supporto informatico in modo da garantire il massimo della trasparenza e dell'accessibilità ai dati, mentre concentrerò l'esposizione sui punti di maggiore criticità del sistema giudiziario italiano e sui possibili rimedi che intendiamo proporre all'esame del Parlamento, alcuni dei quali avevano già trovato un'iniziale attivazione nella precedente legislatura.
Si tratta di emergenze ben note che riguardano l'attuale stato delle carceri e le problematiche condizioni dei 66.897 detenuti che, salvo poche virtuose eccezioni, soffrono modalità di custodia francamente inaccettabili per un Paese come l'Italia. Il deficit di efficienza degli uffici giudiziari rispetto ad una domanda di giustizia che in termini quantitativi appare nettamente sovradimensionata nel confronto con altre democrazie occidentali, il rapporto Cepej 2010 ci dice che nel civile con 4.768 contenziosi ogni centomila abitanti l'Italia è al quarto posto in Europa per tasso di litigiosità, dietro Russia, Belgio e Lituania, su 38 Paesi censiti. Anche su questo ci si dovrebbe forse interrogare maggiormente: questo elevato tasso di litigiosità da cosa deriva? Da una propensione socio-culturale italiana alla conflittualità? Da una scarsa fiducia nella possibilità di affrontare a monte la controversia e di trovare soluzioni ragionevoli nel dialogo tra cittadini? Da una eccessiva complessità del tessuto normativo tale da generare essa stessa un proliferare di contrasti interpretativi la cui soluzione va devoluta al giudice?
Ognuna di queste domande richiederebbe una approfondita analisi, perché la risposta ad esse potrebbe segnare un cambiamento di politica legislativa volto ad incidere sulle cause di una domanda di giustizia così alta e diffusa, ad andare cioè alla radice del problema. carceredue
Ancora, la problematica individuazione degli strumenti attraverso i quali, soprattutto nel settore civile, sia possibile procedere alla rapida eliminazione dell'arretrato accumulatosi negli ultimi trent'anni, senza stravolgere i nostri principi fondamentali, senza deludere le aspettative di quanti hanno già da tempo intrapreso il cammino processuale e senza limitare eccessivamente l'accesso del cittadino al sistema giudiziario per nuove istanze.
Ancora, l'indifferibile razionalizzazione organizzativa e tecnologica dell'intera struttura amministrativa dei servizi giudiziari, in modo da utilizzare al meglio le risorse umane e finanziarie disponibili, realizzando risparmi di spesa che siano il frutto di interventi strutturali e non di semplici tagli alle dotazioni di bilancio. Vedete, in questi primissimi mesi di Governo mi sono resa conto di come i risparmi più razionali si potrebbero realizzare anche sulle spese cosiddette minori, sol che si modificasse l'attitudine mentale a pensare che il denaro e le risorse pubbliche siano di nessuno, convertendola nella corretta concezione che il denaro pubblico è di noi tutti, perché proviene dalle nostre tasse, dalla nostra fatica quotidiana, dal nostro lavoro, dal nostro impegno per contribuire alla crescita del Paese: un cambiamento di cultura sul denaro pubblico.
Allora vedremmo come dalla somma dei piccoli grandi sprechi e dalla loro eliminazione si potrebbe ottenere un ammontare molte più rilevante di quanto si pensi, ma soprattutto un cambiamento culturale idoneo a garantire risparmi di spesa strutturali e non episodici. Queste dunque sono le quattro principali criticità da affrontare, che di certo non rappresentano una sorpresa, se è vero che se ne parla da molti lustri.
Il quadro generale è infatti rappresentativo di una situazione che desta forti preoccupazioni sia in ordine all'enorme mole dell'arretrato da smaltire, che al 30 giugno 2011 è pari a quasi 9 milioni di processi, 5,5 milioni per il civile e 3,4 per il penale, sia con riferimento ai tempi medi di definizione, che nel civile sono pari a sette anni e tre mesi, cioè 2.645 giorni, e nel penale a quattro anni e nove mesi, 1.753 giorni. In sostanza, al di là di quello che dicono questi numeri totali, abbiamo circa un cittadino su sette, ma naturalmente se escludiamo i minori la media si alza di molto, che entra nel circuito della giustizia e ne esce dopo anni ed anni. Peraltro, nel settore civile l'inefficienza nella definizione dell'arretrato ha dato luogo a costose e talvolta paradossali conseguenze.
Si è già detto che il ritardo nella definizione dei giudizi dipende in larga misura dal numero davvero esorbitante di questioni per le quali si richiede l'intervento del giudice. Con oltre 2,8 milioni di nuove cause in ingresso in primo grado, l'Italia balza nella classifica di cui parlavo prima, dal quarto al secondo posto, ed è seconda solo alla Russia nella speciale classifica stilata nel citato rapporto Cepej. Ebbene, proprio questo fenomeno determina un ulteriore intasamento del sistema, conseguente al numero progressivamente crescente di cause intraprese dai cittadini per ottenere un indennizzo conseguente alla ritardata giustizia. È un effetto moltiplicatore terrificante. Al riguardo, i numeri non ammettono equivoci. Approvata la legge cosiddetta Pinto, che consente di indennizzare l'irragionevole durata del processo, si è verificata una vera e propria esplosione di questo contenzioso, passato dalle 3.580 richieste del 2003 alle 49.596 del 2010. Il numero cioè si è più che decuplicato. Un secondo effetto negativo introdotto da tale contenzioso è quello dell'ulteriore dilatazione dei tempi di definizione dei giudizi presso le corti d'appello, cui è assegnata la competenza specifica in questa materia, che si aggiunge all'entità ormai stratosferica e sempre crescente degli indennizzi liquidati e dei tempi trascorsi.
Si è passati quanto agli indennizzi liquidati dai 5 milioni di euro del 2003 ai 40 milioni del 2008, per giungere ai circa 84 del 2011. È una vera e propria emorragia, che appare angosciosamente inarrestabile ed autoriproduttiva di ulteriori ritardi. Il dato di maggiore rilievo mi pare, però, quello fornito nel 2011 dalla Banca d'Italia, secondo cui l'inefficienza della giustizia civile italiana può essere misurata in termini economici come pari all'1 per cento del PIL.
A chi studi normalmente questi problemi ciò non deve destare alcuna meraviglia: è chiaro che l'andamento dell'economia è fortemente influenzato dall'inefficienza della giustizia civile. Se a questo si aggiunge che nella categoria «enforcing contracts» del rapporto Doing Business del 2010 l'Italia si classifica al 157o posto su 183 Paesi censiti, con una durata stimata per il recupero del credito commerciale pari a 1.210 giorni, mentre in Germania ne bastano 394, si coglie la misura di quanto ciò incida negativamente sulle nostre imprese, segnando, anche sotto tale aspetto, una divaricazione di efficienza con i migliori sistemi dei Paesi dell'Unione europea, che frena, ineluttabilmente, le possibilità di sviluppo ed anche gli investimenti stranieri.
Ho parlato naturalmente di quest'ultimo tema in diverse occasioni con il Presidente Monti e con l'intero Governo, traendone la comune convinzione che le interazioni tra economia e giustizia siano fortissime; che se si vogliono attrarre capitali in Italia sia necessario garantire certezza ed efficienza della giustizia; che se si vogliono accrescere le iniziative imprenditoriali italiane e straniere nel nostro Paese sia indispensabile assicurare un percorso celere del processo.
Restituire, dunque, efficienza alla giustizia civile, per recuperare questa ricchezza e la competitività che ne deriva, è il vero obiettivo che dobbiamo perseguire, perché ciò consentirebbe di trasformare le criticità del sistema giudiziario italiano in opportunità di sviluppo e di crescita economica, ben oltre i semplici, e pur necessari, risparmi di spesa.
Non meno rilevanti risultano le conseguenze dell'eccessiva durata del processo penale. Non inganni la circostanza che la durata media del processo penale sia inferiore rispetto a quella del processo civile - 4,9 anni rispetto agli oltre 7 anni del processo civile - poiché occorre tenere conto che essa incide in modo sensibile anche sulla sorte degli oltre 28 mila detenuti in attesa di giudizio, che rappresentano il 42 per cento dell'intera popolazione carceraria. Altra anomalia tutta italiana!
Se è vero che la libertà personale può e deve essere limitata per tutelare la collettività, è parimenti incontestabile che una dilatazione eccessiva della durata del processo a carico di imputati o indagati detenuti pregiudica questo delicato equilibrio tra valori di rango costituzionale ed aumenta, talvolta in modo intollerabile, la sofferenza di chi, ad onta della presunzione di innocenza, è costretto ad attendere da recluso una sentenza che ne accerti la responsabilità, con la possibilità, non del tutto remota, che alla carcerazione preventiva segua una sentenza assolutoria.
Sulla necessità che la delicata e complessa valutazione delle esigenze cautelari sia improntata a criteri di estrema prudenza condivido le preoccupazioni pubblicamente manifestate dal primo presidente della Corte di cassazione. La durata del processo penale incide, infatti, anche sul numero dei procedimenti, in media 2.369 ogni anno, per ingiusta detenzione ed errore giudiziario e in ogni caso aggrava la misura dei pur doverosi risarcimenti a tale titolo erogati. Nel solo 2011 lo Stato ha subito un esborso pari ad oltre 46 milioni di euro per questa voce.
Se mi è consentita una digressione senza alcun intento polemico, credo che i dati oggettivi che ho appena illustrato consentano di riflettere sull'effettività del sacrosanto principio di civiltà giuridica sancito nel terzo comma dell'articolo 275 del codice di procedura penale, secondo cui la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e di deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).
Quello che è certo è che un uso, per così dire, meglio calibrato della custodia cautelare in carcere sarebbe, sotto più aspetti, benefico per l'amministrazione giudiziaria e per il sistema carcerario, senza alcuna controindicazione per la collettività se è vero che le esigenze di sicurezza possono essere alternativamente garantite da un ventaglio davvero ricco di opzioni di cui oggi il giudice dispone e che, se possibile, proveremo a migliorare ed incrementare per favorire questo equilibrio tra esigenza di sicurezza sociale ed esigenza di tutela della libertà personale.
Detto questo, ho già manifestato in più occasioni la mia personale preoccupazione, anzi, la mia angoscia, per lo stato delle carceri italiane e degli ospedali psichiatrici giudiziari. Sento fortissima, insieme a tutto il Governo, la necessità di agire, in via prioritaria e senza tentennamenti, per garantire un concreto miglioramento delle condizioni dei detenuti, ma anche degli agenti della polizia penitenziaria che negli stessi luoghi condividono la realtà e spesso le sofferenze dei detenuti. Si tratta, ancora una volta, di questioni di difficile soluzione a causa di complicazioni burocratiche e di difetti strutturali e logistici che si sono stratificati nel corso del tempo.
Non intendo, però, soffermarmi sul numero e sulla composizione della popolazione carceraria, sulla vetustà e sulle condizioni delle strutture, sugli spazi che competono e su quelli effettivamente assegnati e su tutte le altre questioni fatte di freddi dati numerici che facilmente troverete nei documenti ufficiali. Tutto questo, infatti, dice poco della vera questione in ballo. Siamo di fronte ad un'emergenza che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica poiché il detenuto è privato della libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la dignità di persona umana.
Le innegabili difficoltà non possono costituire un alibi né per il Ministro della giustizia, né per tutte le altre istituzioni interessate. Qualunque giustificazione è, infatti, destinata a crollare miseramente non appena si varchi la soglia di una delle strutture a rischio e si verifichi personalmente la realtà di esse. Lo dico da Ministro, ma anche, e soprattutto, da cittadino. Questa situazione va migliorata subito, pur nella piena consapevolezza che non esiste alcuna formula magica per risolvere questo annoso e doloroso problema, se è vero, come è vero, che anche in altri Paesi la piaga del sovraffollamento carcerario è segnalata da numeri che parlano da soli, ad esempio 80.000 detenuti nel Regno Unito e più di 2 milioni negli Stati Uniti.
Solo un equilibrato insieme di misure idonee a coniugare sicurezza sociale e trattamento umanitariamente adeguato del custodito o del condannato potrà fornire un serio contributo alla soluzione del problema. Edificazione di nuove carceri, ma anche manutenzione e migliore utilizzo di quelle esistenti, misure alternative alla detenzione, ma anche lavoro carcerario, deflazione giudiziaria attraverso la depenalizzazione dei reati bagatellari e non punibilità per irrilevanza del fatto, ma anche effettività della pena; tutti questi mezzi, collocati e collegati tra loro, potranno portare, poi, ad un'applicazione effettiva delle sanzioni oggi spesso minacciate, ma non applicate.
Questi sono solo alcuni esempi che dimostrano come il campionario delle possibili soluzioni sia molto ampio, ma che l'aspetto più difficile è quello di un corretto equilibrio tra aspetto afflittivo e aspetto rieducativo della pena, tra carattere umanitario del trattamento del condannato e tutela del diritto dei cittadini alla sicurezza, tra riconoscimento dei più elementari principi di civiltà, anche a chi è detenuto, e pieno soddisfacimento dei diritti delle vittime e dei loro familiari. Si tratta di una strada lunga e complessa che va, però, affrontata con la massima urgenza, privilegiando, anche in considerazione della durata necessariamente limitata di questo Governo, gli aspetti maggiormente connotati dall'emergenza.
leggeugualeIl Governo ha già adottato provvedimenti finalizzati a questo obiettivo. Mi riferisco innanzitutto al decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, con il quale si è prevista una prima serie di misure urgenti per il contrasto al sovraffollamento delle carceri. Ciò che si poteva fare con immediatezza è stato fatto, introducendo norme che, modificano le procedure di convalida dell'arresto, dimezzando - questo voglio sottolinearlo, perché credo sia stato poco colto nei dialoghi -nei tempi massimi, 48 ore anziché le 96 che erano originariamente previste, ed incidendo sulle correlative modalità di custodia, in modo da limitare al massimo il transito in carcere, destinato statisticamente a durare per poco tempo. Nel 2010, 21.093 persone sono stato trattenute in carcere per un massimo di tre giorni. Si tratta del cosiddetto fenomeno delle «porte girevoli». La bontà di questa misura si apprezza anche se si considera che una permanenza così breve in carcere, oltre a rivelarsi inutilmente affittiva, molto costosa ed impegnativa per l'amministrazione, non è giustificata né da esigenze processuali, né da istanze di difesa sociale, giacché si tratta di persone delle quali, all'esito della convalida dell'arresto e del giudizio direttissimo, il giudice spessissimo disporre la scarcerazione.
Si è altresì deciso di innalzare da 12 a 18 mesi la soglia della pena detentiva residua per l'accesso alla detenzione domiciliare, potenziando uno strumento già introdotto nel 2010 dal precedente Esecutivo. Per effetto di tale modifica il numero dei detenuti che potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare in base alla legge del 2010 potrà quasi raddoppiare. Agli oltre 3.800 detenuti sino ad oggi effettivamente scarcerati, se ne potranno aggiungere altri 3.327, con un risparmio di spesa pari a 375.318 euro ogni giorno.
Con il successivo decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, si sono operati importanti interventi di miglioramento del Piano carceri approvato dal precedente Esecutivo. Si è infatti reso necessario disporre la proroga della gestione commissariale del piano straordinario sino al 31 dicembre 2012, mentre le nuove norme hanno altresì consentito di superare le criticità del previgente impianto normativo, attraverso la disgiunzione delle funzioni di commissario straordinario da quelle di capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Nella sostanza, si è ritenuto utile separare la gestione del piano straordinario per l'edilizia penitenziaria, affidando il ruolo di commissario delegato poi all'esecuzione del piano ad una figura professionale in grado di esercitare in via esclusiva queste funzioni. Ancora una volta un segnale di continuità evolutiva, cercare di ottimizzare quel che già era stato intrapreso, rendere il Piano carceri un obiettivo esclusivo, di un soggetto esclusivamente dedicato alla cura di esso.
Infine, il 16 dicembre 2011, il Governo ha approvato in via preliminare una modifica al regolamento penitenziario per introdurre la Carta dei diritti e doveri dei detenuti e degli internati, già trasmessa al Consiglio di Stato per il prescritto parere. La nuova Carta fornirà al detenuto, al momento del suo ingresso in carcere e ai suoi familiari, una guida in diverse lingue che indica in forma chiara le regole generali del trattamento penitenziario e fornisce tutte le informazioni indispensabili su servizi, strutture, orari e modalità dei colloqui, corrispondenza e doveri di comportamento, ed altro. Si tratta, come si vede, di un primo gruppo di interventi sostenuti dall'urgenza. Quest'ultimo è apparentemente banale, ma sapeste quanto conforto dà all'internato, nel momento del suo ingresso in carcere, sapere quali sono i suoi diritti e quali sono i suoi doveri, e ai suoi familiari conoscere cosa possono e cosa non possono fare per sostenere e supportare il detenuto e stargli vicino nei momenti difficili della detenzione.
Dicevo che si tratta di un primo gruppo di interventi sostenuti dall'urgenza, cui va aggiunta una più ampia e complessa opera di riorganizzazione e razionalizzazione della struttura ministeriale, finalizzata a migliorare le condizioni della detenzione, anche attraverso un'intensa attività di riqualificazione della spesa.
Su tutto questo vi garantisco, onorevoli deputati, il mio personale impegno e quello dell'intero Governo, come pure intendo garantire altri segnali di attenzione su temi fondamentali sui quali, in materia di giustizia penale, bisogna intervenire nel futuro. Il dovere istituzionale mi impone, in questa sede, di elencare solo le iniziative già completate e quelle intraprese, ma vorrei anche assicurare il mio personale impegno e quello del Governo sui temi del prossimo futuro, la lotta a tutte quelle forme di illecita sottrazione di denaro al circuito della legalità, forme che si collegano diabolicamente tra di loro, creando un canale sotterraneo che va dall'evasione fiscale, alla corruzione, al riciclaggio, alla criminalità organizzata, con una imponente erosione di valori, come quello della leale concorrenza tra le imprese e con un altrettanto imponente dissanguamento e depauperamento delle risorse economiche sane, che ci sono, e sono tante, del nostro Paese. Su tutto questo, dicevo, vi garantisco il mio personale impegno e quello del Governo.
Vi è, poi, il capitolo efficienza e risparmio della spesa e miglioramento della performance. Nel quadro che ho appena descritto e tenuto conto dell'approssimarsi della scadenza naturale di questa legislatura, il Governo ha inteso muoversi cercando di dare ulteriore impulso ai progetti ministeriali già in corso ed effettiva attuazione alle riforme organizzative che hanno già positivamente superato il vaglio parlamentare, attribuendo priorità al recupero dell'efficienza organizzativa e del risparmio della spesa. In tal senso, si è inteso dare immediata attuazione alla delega per la rimodulazione della geografia giudiziaria, dalla quale ci si attende non soltanto un consistente risparmio di spesa ed un più razionale utilizzo delle risorse umane disponibili, ma anche un netto recupero della specializzazione delle funzioni giudiziarie. Ciò consentirà di ottimizzare le performance e di elevare nettamente il tasso di prevedibilità delle decisioni giudiziarie, che è un altro dei parametri sui quali si misura il ranking internazionale del sistema Italia, cuore e fondamento della certezza del diritto, che, troppo spesso, appare come smarrita.
Ciò premesso, appare opportuno analizzare qualche piccolo segnale di apertura del sistema verso il miglioramento per verificare in quale direzione procedere e su quali meccanismi concentrarsi per amplificarne gli effetti. Il dato più rappresentativo al riguardo è costituito dalla conferma per il secondo anno consecutivo di un decremento, sia pure meno marcato rispetto a quello dello scorso anno, delle pendenze nel settore civile, con un calo, al 30 giugno 2011, di oltre 170 mila processi rispetto al 30 giugno del 2010 (meno 3 per cento), mentre non si è ancora riusciti ad intaccare in modo significativo la durata media dei processi, che si presenta sostanzialmente stabile, al pari dell'arretrato nel settore penale. È una goccia nel mare degli oltre 5,5 milioni di processi civili pendenti, ma è la conferma di un'inversione nel trend in costante ascesa degli ultimi anni. Quanto di questo risultato sia dovuto agli interventi sul contributo unificato, alla riforma del processo civile, ai miglioramenti delle performance conseguenti agli investimenti sulle notificheonline, sulla digitalizzazione, ovvero ad un'ampia diffusione del progetto Best practices, finanziato dal Fondo sociale europeo per 45 milioni di euro, è ancora difficile dire, ma certo è che per questa ultima strada si deve accentuare l'impegno riformatore (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Proprio in questi ultimi anni, infatti, nella struttura ministeriale, negli uffici giudiziari, negli enti rappresentativi delle comunità locali interessate nei vari territori ed anche presso il Consiglio superiore della magistratura fervono le più svariate iniziative per individuare nuovi modelli organizzativi e nuove forme di collaborazione tra tutte le istituzioni interessate, con una diffusione di una cultura dell'organizzazione che, sino a poco tempo addietro, era per molti versi estranea al sistema giudiziario italiano. Orbene, occorre raccogliere e governare queste nuove progettualità, tener conto delle indicazioni e delle positive esperienze che provengono dagli uffici giudiziari, senza perdere di vista la governance complessiva di questi progetti, che si riferiscono ad un servizio erogato dallo Stato, che, anche per ragioni di equità sociale, deve tendenzialmente rivolgersi in modo armonico ed uniforme sull'intero territorio nazionale.
Una cabina di regia da esercitarsi insieme al Consiglio superiore della magistratura, ciascuno nel proprio ambito operativo, ma sempre in rapporto di leale collaborazione istituzionale. Tutto ciò dovrebbe proiettarsi nel miglioramento del servizio giustizia; un nobile ed importante servizio, di cui i cittadini devono poter, uniformemente, usufruire; un servizio che deve basarsi anche sul concetto di organizzazione funzionale degli uffici. Deve nascere una più integrata cultura del magistrato capace di occuparsi tanto del difficile compito di amministrare la giustizia quanto dell'oneroso incarico di organizzare le strutture e gli uffici che da lui dipendono, in maniera efficace e proficua. La mia pregressa esperienza ha già visto lodevoli esempi di questo genere, sia in piccoli che in grandi tribunali, dovuti a pregevoli doti personali, i cui risultati vanno però estesi, quanto più possibile, all'intero sistema giustizia, non soltanto alle poche persone di buona volontà che hanno voluto farsi carico, oltre che dell'onere dell'amministrazione della giustizia anche di quello di una sua più completa e migliore organizzazione.
Ancora, qualcosa sulla mediazione: con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, il Governo diede attuazione alla delega relativa all'introduzione, in via generalizzata, della mediazione come strumento di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali. Si tratta di un'importante riforma, che mira a ridurre, in modo sensibile, il numero dei giudizi dinanzi al magistrato, offrendo alle parti uno strumento generale, alternativo alla via giudiziale, per risolvere le controversie dei cittadini. Questa importante riforma legislativa, completata con l'emanazione della normativa regolamentare di dettaglio, è operativa dal 20 marzo 2011 con l'entrata in vigore delle norme sulla obbligatorietà della mediazione nelle materie tassativamente indicate dalla legge. Poiché l'analisi dei dati statistici riguarda soltanto il primo semestre dell'anno appena trascorso, è certamente prematuro tentare una valutazione degli effetti della riforma sulla domanda di giustizia. Bisogna, inoltre, tener conto che è stata differita di un anno l'obbligatorietà della mediazione in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante da circolazione stradale. Nondimeno, rispetto alle 33.808 mediazioni iscritte nel primo semestre del 2011, si può cogliere un trend in crescita se si considera che a novembre 2011 le mediazioni registrate hanno superato la soglia delle 53 mila unità. Sorprendono, invece, i dati relativi allo scarso utilizzo della mediazione delegata dal giudice e l'elevato numero di mancate comparizioni dinanzi al mediatore; uno strumento che potrebbe essere utile ma che viene scarsamente attivato. Vorrei, però, sottolineare due dati che mi sembrano rilevanti: nell'80 per cento dei casi, le parti partecipano alla mediazione con l'assistenza di un legale di fiducia. Ciò vale a scongiurare, almeno in parte, le preoccupazioni della classe forense in ordine ad una possibile, minorata tutela tecnica dei diritti dei cittadini. Inoltre, in presenza delle parti, il tentativo di mediazione si conclude con successo nel 60 per cento dei casi - 60 per cento dei casi - fatto testimonia le grandi potenzialità deflattive dell'istituto; si tratta di sperimentarlo, di andare ancora avanti su quella strada; di vedere se esso possa avere una reale efficacia deflattiva.
Ciò premesso, sono consapevole delle polemiche, talvolta aspre, suscitate da questa importante innovazione, che certamente è suscettibile di miglioramento, ma che può rappresentare un importante pilastro nella strategia complessiva di recupero dell'efficienza del sistema giudiziario attraverso una diminuzione dei casi in cui la soluzione della controversia avviene tramite il lungo e defatigante cammino del giudizio ordinario. Il nuovo Governo peraltro è già intervenuto, con il decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212, operando alcune correzioni ed integrazioni finalizzate a potenziarne l'utilizzo.
Mi auguro che tutti gli addetti ai lavori condividano questa necessità cogliendo le nuove e numerose opportunità professionali che la riforma offre.
Un altro capitolo importante, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie. L'intervento di riorganizzazione di gran lunga più incisivo riguarda la nuova geografia giudiziaria, una riforma organica attesa sin dagli esordi dell'Italia unita - le prime segnalazioni risalgono addirittura al 1863 -approvata da questa legislatura con la legge 14 settembre 2011, n. 148 con la quale il Governo è stato delegato a procedere alla riduzione del numero degli uffici giudiziari ed alla razionalizzazione dei relativi assetti territoriali. L'evento, spesso trascurato dai media, è la prova ulteriore che questo Parlamento è ben in grado di superare egoismi, localismi e resistenze corporative, consegnando al Paese un sistema giudiziario più moderno, in un momento nel quale ciò appare davvero indifferibile.
Sia chiaro, sono consapevole che la chiusura di un ufficio giudiziario crea numerose difficoltà e non poche preoccupazioni alla classe forense, ai magistrati, al personale amministrativo ed alla comunità locale direttamente interessata e so bene che queste legittime preoccupazioni sono condivise da molti deputati. Bisogna però convincersi che due ineliminabili esigenze impongono di procedere con decisione verso questa direzione. La prima riguarda la necessità di ridurre le spese di gestione e di razionalizzare l'utilizzo delle risorse umane esistenti, in progressivo decremento a causa del blocco delle assunzioni e del numero medio dei pensionamenti annuali, circa 1.200 unità. In altri termini e con maggiore chiarezza, il Paese non può permettersi più oltre 2 mila uffici giudiziari allocati in 3 mila edifici. La seconda invece è una diretta conseguenza delle innovazioni normative e tecnologiche dalla digitalizzazione, alle notifiche online via posta elettronica, alla consultazione degli atti via web ai pagamenti telematici del contributo unificato che rendono per molti versi anacronistica e non più giustificabile l'attuale distribuzione territoriale.
Detto questo intendo rassicurare tutti sul fatto che le specificità di ciascun territorio saranno scrupolosamente valutate così come è imposto dalla legge delega e che nessuno intende spazzare via presidi di legalità che hanno i numeri e le peculiarità che ne rendono utile il mantenimento. Si procederà dunque con equilibrio e pacatezza, cercando parametri oggettivi che sappiano tenere lontani gli egoismi localistici e soddisfare invece le esigenze di razionalizzazione e di efficienza del sistema. In tal senso prosegue presso il Ministero questo complesso e faticoso lavoro, che si è già tradotto nello schema di decreto legislativo che riguarda il riassetto territoriale dei giudici di pace, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri, ed è in attesa di essere inviato al CSM ed alle competenti Commissioni parlamentari per i prescritti pareri. Il decreto prevede l'accorpamento di diversi uffici, per la precisione 674, consentendo di recuperare 2.104 unità di personale amministrativo e di risparmiare a regime 28 milioni di euro l'anno.
Per quanto concerne la revisione dei tribunali e delle relative sezioni distaccate, contiamo di predisporre la prima bozza operativa entro marzo-aprile 2012 e personalmente mi assumo l'impegno di riferirne quanto prima alle Commissioni interessate. Ho dovuto tardare questo compito visto che in queste settimane ero impegnata nel procedimento di conversione del decreto-legge in materia penale ed in materia civile, ma non appena queste due settimane di impegno, purtroppo assolutamente pieno e giustamente ineliminabile, saranno terminate è mia intenzione tornare nelle Commissioni per illustrare ciò che stiamo facendo e soprattutto il metodo con il quale stiamo procedendo in materia di revisione dei tribunali.
Accennavo degli interventi in materia di informatizzazione e digitalizzazione del sistema giudiziario.
Nel corso del 2011 è proseguita l'attività di informatizzazione e razionalizzazione dell'amministrazione giudiziaria, malgrado la costante contrazione delle risorse finanziarie disponibili. In particolare, nel settore civile, nel corso del 2011, i sistemi elettronici di gestione dei registri sono stati installati nel 100 per cento degli uffici giudiziari di primo e secondo grado. Mai, in precedenza, si è raggiunta una diffusione del 100 per cento di un software nazionale. Inoltre, è stato dato un forte impulso al miglioramento e alla diffusione degli strumenti per il giudice civile, con particolare riferimento alla «consolle del magistrato», un'applicazione, anch'essa in tecnologia web, che permette al singolo magistrato di organizzare il proprio ruolo, di visualizzare gli atti del fascicolo informatico, di redigere i provvedimenti e di depositarli telematicamente in cancelleria. Al momento, sono oltre seicento i magistrati che già ne fanno uso.
È stata completata un'infrastruttura telematica, che rende disponibili i servizi telematici per tutti gli uffici giudiziari, ai professionisti e agli enti registrati. Vi accedono on line oltre 43 mila avvocati. È attivo il servizio telematico di deposito degli atti, che consente all'avvocato o al consulente tecnico di depositare telematicamente dallo studio gli atti di parte e dell'ausiliario del giudice via posta elettronica certificata, e risultano già depositati oltre 150 mila atti di parte con pieno valore legale, in quanto sostitutivi dell'originale cartaceo.
In alcuni uffici è già attivo il servizio di comunicazioni telematiche di cancelleria, che consiste nell'invio automatico di un messaggio di posta elettronica certificata dagli uffici giudiziari agli avvocati o ai consulenti tecnici. Il messaggio, con allegato l'eventuale provvedimento del giudice, redatto con la «consolle del magistrato» o scansionato dalla cancelleria, è inviato in automatico all'indirizzo elettronico del destinatario.
È importante sottolineare che i 23 uffici attualmente attivi gestiscono oltre il 15 per cento del carico di lavoro nazionale, a riprova della capacità di questi mezzi di dare più efficienza al lavoro. Quello che, però, davvero importa far notare, è che le comunicazioni telematiche consentono di ridurre a zero i tempi di comunicazione, annullano i costi di notifica e i costi del personale UNEP, riducono significativamente il tempo di lavoro nelle cancellerie, nonché i costi di stampa ed annullano i rischi di mancata notifica. Un uovo di Colombo, rispetto al problema dei tempi e dei modi delle notifiche (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà): la possibilità di intervenire con assoluta immediatezza e celerità e senza le pastoie burocratiche che spesso rappresentano una delle cause della lentezza della giustizia italiana.
In uno studio cui mi dedicai molti anni fa, in un piccolissimo gruppo di studio che costituimmo presso il Ministero, emerse che erano questi piccoli ritardi, questi piccoli grandi problemi relativi all'intasamento delle cancellerie nelle notifiche e all'intasamento cartaceo, che si ha spesso in processi di grande mole, la causa di tanti dei rallentamenti della giustizia, ed è su queste piccole grandi cause che bisogna intervenire anche per il recupero di efficienza della giustizia.
Da giugno 2009, data di avvio del primo tribunale, sono state inviate oltre 1 milione e 600 mila comunicazioni telematiche. A regime, questo sistema consente di stimare i risparmi dei soli costi vivi di notifiche in oltre 84 milioni di euro l'anno e di liberare non meno di 600 unità di personale dai correlativi compiti manuali.
Negli ultimi mesi del 2011 è stato progettato e realizzato il sistema per la gestione telematica dei pagamenti delle spese di giustizia: anche questo un passo avanti verso l'efficienza. Il sistema, già attivo in otto uffici giudiziari, consente all'utente esterno, avvocato, di pagare on line il contributo unificato e i diritti di segreteria per il processo civile: non più le code con i francobolli in mano, che dovrebbero rappresentare il retaggio di un passato che vorremmo superare.
Non occorrono altre indicazioni per affermare che è qui il futuro della giustizia e che il Governo intende imprimere, se possibile, un'ulteriore accelerazione alla diffusione di questi modelli operativi, curando in maniera particolare due aspetti di fondamentale importanza per un pieno recupero di efficienza attraverso questi sistemi.
Il primo attiene all'uniformità dei mezzi utilizzati e delle possibilità di accesso al sistema. Consentitemi di soffermarmi un attimo su questo punto. È incredibile che i sistemi informatici oggi non comunichino ancora tra di loro. L'unificazione di questi sistemi rappresenta il passo vero e finale verso una più piena utilizzazione di questi ultimi. Sistemi diversi producono maggiori costi e riducono sensibilmente i risultati virtuosi dell'informatizzazione. È su questo aspetto che dobbiamo insistere ed andare avanti.
Il secondo attiene alla diffusione uniforme delle capacità e della cultura dell'utilizzo del mezzo informatico. Sappiamo perfettamente - io per prima ne sono un esempio - quanto sia difficile, soprattutto per una fascia generazionale alla quale purtroppo appartengo, adattarsi all'utilizzo costante di un mezzo di comunicazione rivoluzionario ed i cui effetti erano impensabili fino a non molti anni fa. Ma sappiamo altrettanto bene che solo una diffusione omogenea di tale mezzo di comunicazione ne renderà veramente risolutivo l'utilizzo. Sono, altresì, certa che l'intera avvocatura saprà dare a queste innovazioni il suo indispensabile contributo, comprendendo pienamente di esserne coprotagonista e beneficiaria.
Il tema degli organici della magistratura: al momento risultano presenti in organico 8.834 magistrati togati, con una scopertura di 1.317 posti. Per rimediare a questa situazione l'impegno del Ministero è già stato particolarmente rilevante, tanto che risultano completate le procedure per la nomina di 325 magistrati ordinari vincitori del concorso bandito nel 2009 ed è in corso la correzione delle prove scritte di un ulteriore concorso a 360 posti bandito nel 2010 che avrà termine tra poche settimane. Altri 370 posti sono stati banditi nel settembre del 2011 e le prove scritte sono previste nel mese di maggio del 2012. Come appare evidente, si tratta di bandi che risalgono al precedente Esecutivo e di cui non voglio quindi ascrivermi alcun merito. Va però oggettivamente - da parte di tutti - dato atto che la programmazione cadenzata di una serie di concorsi restituisce ai migliori laureati in giurisprudenza una possibilità di ingresso nella magistratura ordinaria con cadenze ravvicinate e regolari, e su questo c'è un pieno impegno del Governo a mantenere queste tappe costanti.
Va infine ricordato che con l'immissione in servizio dei 325 magistrati già vincitori del concorso bandito nel 2009 le presenze in organico raggiungeranno quota 9.169, dato superato negli ultimi dodici anni solo nel 2005, tutto questo malgrado che negli ultimi tre anni si sia registrato un esponenziale aumento del numero dei pensionamenti, talvolta doppio rispetto alla media degli anni precedenti.
Per quanto riguarda la scuola della magistratura, il percorso che conduce alla piena operatività, dopo una lunga e travagliata gestazione (la legge istitutiva risale al gennaio del 2006) è ormai definitivamente avviato con l'insediamento del comitato direttivo avvenuto lo scorso 14 novembre 2011 presso il Consiglio superiore della magistratura alla presenza del Ministro della giustizia e del Presidente della Repubblica.
La scuola è chiamata a rivestire un ruolo centrale nella formazione dei magistrati e tra di essi anche di coloro che aspirano alla dirigenza degli uffici giudiziari con corsi mirati allo studio dei criteri di gestione delle organizzazioni complesse, alla conoscenza dei sistemi informatici e delle modalità di gestione delle risorse ministeriali.
La legge istitutiva disegna una scuola di profilo internazionale, aperta ai contributi esterni ed essa stessa protagonista di collaborazioni, pubblicazioni e attività di ricerca che vanno ben oltre la sola didattica. L'innovazione di maggior significato è, però, senz'altro quella che affida congiuntamente al Consiglio superiore della magistratura e al Ministro della giustizia la responsabilità dell'indicazione delle linee programmatiche di cui il comitato direttivo dovrà tenere conto nella elaborazione del programma annuale dell'attività didattica.
Per la prima volta, infatti, il Ministro della giustizia potrà fornire un contributo in materia di formazione professionale dei magistrati ed è chiamato a farlo, in linea con l'assetto costituzionale vigente, coordinandosi, com'è ovvio e corretto, con il Consiglio superiore della magistratura.
Con riguardo all'elenco delle attività istituzionali e, in particolare, all'attività ispettiva e di gabinetto, nell'anno 2011 il Ministro ha dato il proprio concerto in ordine al conferimento di 72 uffici direttivi, mentre, nel quadro della programmazione predisposta, l'ispettorato generale ha eseguito 42 ispezioni ordinarie e 14 inchieste. Risulta, altresì, esercitata l'azione disciplinare nei confronti di 46 magistrati per violazione dei doveri di diligenza, correttezza e laboriosità relativi a diverse ipotesi, tra le quali spiccano quelle relative a gravi e reiterati ritardi nel deposito delle motivazioni delle sentenze che, talvolta, hanno determinato inaccettabili scarcerazioni di pericolosi criminali per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare. L'ispettorato generale ha svolto anche 234 ispezioni ordinarie presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado.
Con riguardo alla giustizia minorile, nel corso del 2011 l'esame delle statistiche ha confermato l'aumento generale della presenza di minori di nazionalità italiana, già iniziato negli anni immediatamente precedenti anche nei servizi residenziali, come i centri di prima accoglienza e gli istituti penali per i minorenni che per molti anni avevano visto prevalere numericamente i minori stranieri. È un segnale, anche questo, sul quale devo richiamare l'attenzione di noi tutti. Attualmente la presenza straniera proviene prevalentemente dall'est europeo, principalmente dalla Romania, e dal nord Africa, Marocco soprattutto.
In generale, i reati contestati sono prevalentemente contro il patrimonio (60 per cento), pur se non sono trascurabili le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti. Per ulteriori e specifici dettagli rimando, per esigenze di sintesi, alla documentazione prodotta, mentre vorrei soffermarmi su un aspetto programmatico. La giustizia minorile deve necessariamente privilegiare l'aspetto rieducativo della pena, tendendo al reinserimento sociale del giovane condannato attraverso istituti ampiamente sperimentati, come quello della messa alla prova. Si tratta, però, di istituti che richiedono un notevole impegno non solo dei servizi sociali, ma anche delle famiglie e delle comunità dei cittadini.
Questi due ultimi contributi possono venir meno se il giovane condannato è uno straniero, la cui famiglia e la cui comunità sono lontani dall'Italia. Ecco perché ci accingiamo a varare un piano di contatti internazionali e di convenzioni bilaterali, volti ad incentivare il ritorno del minore nel proprio sistema culturale di origine, che potrebbe molto più adeguatamente confortarlo e accompagnarlo nel percorso di reinserimento sociale che egli deve realizzare senza sentirsi doppiamente sradicato dalle proprie abitudini socio-familiari. Un ritorno alle proprie origini quindi, come pure, per quanto riguarda i minori italiani, il cui numero e la cui percentuale sta, purtroppo, crescendo, un richiamo agli interventi della famiglia e della comunità dei cittadini. La famiglia ha un ruolo fondamentale nella vita di chi ha sbagliato ed è chiamato a sopportare la propria pena e a redimersi. Si tratta di un ruolo fondamentale per il minore ma, vorrei dire, un ruolo importantissimo anche per il detenuto in generale. Ho visto, girando le carceri, quanto la vicinanza delle famiglie sia determinante per mantenere lo spirito del detenuto ad un livello di tollerabilità. Ho visto come la compagnia della famiglia la domenica sia determinante per fare ritornare un momento di serenità e recuperare i valori ordinari della vita sociale. Dunque, siamo anche noi protagonisti di ciò che si può e si deve fare in termini di miglioramento della vita dei minorenni detenuti e dei detenuti in generale.
Nel settore internazionale, l'attività si è già rivelata intensa. Grande attenzione è stata data all'attuazione del Programma di Stoccolma, anche alla luce dei cambiamenti apportati dal Trattato di Lisbona, che ha disegnato un più rilevante ruolo del Parlamento europeo e degli stessi Parlamenti nazionali nel settore della giustizia penale.
In questo contesto, il Governo italiano intende offrire il proprio contributo per l'attuazione del programma pluriennale 2010-2014, che ha individuato le linee guida per la realizzazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini.
Siamo, infatti, in prima linea per garantire un'Europa sicura dove siano rispettati i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini. Per questo auspichiamo la completa realizzazione del programma di Stoccolma con specifico riferimento allo sviluppo di una strategia di sicurezza interna dell'Unione per garantire la protezione dei cittadini e la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo attraverso la cooperazione di polizia in materia penale, nonché la cooperazione nella gestione delle frontiere.
Con riferimento ai progetti di atti normativi dell'Unione europea nel campo del diritto civile - iniziati nel 2011 e che proseguiranno nel 2012 - ai quali il Governo intende apportare il proprio contributo, desidero specificamente ricordare: la proposta di regolamento sui conflitti di legge in materia di regime patrimoniale tra i coniugi; la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale e il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'ordinanza europea di sequestro conservativo sui conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale; la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad un diritto comune europeo della vendita.
A livello bilaterale, si è dato particolare risalto a Paesi quali gli Stati Uniti e il Messico e, più in generale, l'area geografica dell'America centrale e latina, con la quale occorre proseguire il dialogo per incrementare e far convergere i sistemi e i mezzi di lotta al terrorismo internazionale, di contrasto alla criminalità organizzata, di ostacolo al traffico di droghe, creando un sistema a maglie fitte ed omogenee che impedisca agli autori di tali categorie di reati di avvalersi del vantaggio di intenzionalmente e dolosamente selezionare ed operare in aree meno intensamente presidiate dalle quali poi far partire gli effetti di questa attività criminosa. Anche su questo, dunque, vi sarà la massima attenzione e il massimo impegno.
Aggiungo che in sede europea gli incontri sono stati molto frequenti e che il contributo dell'Italia con la sua cultura e la sua tradizione giuridica è visto con grandissimo interesse dagli altri Paesi. Ho potuto apprezzare personalmente nei primi saluti che ho ricevuto nei consigli dei ministri di giustizia europei quale e quanto apprezzamento ci sia per il livello culturale e giuridico dell'Italia. Citerò brevemente gli interventi sulla giustizia civile, perché già tanto ho detto sul tema della durata dei processi e sull'emergenza che questo settore rappresenta dando luogo ad una priorità per questo Governo. Con il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con la legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato varato un piano straordinario per l'efficienza della giustizia civile.
Prendendo spunto da alcune buone prassi in uso presso importanti uffici giudiziari, si è introdotto l'obbligo di programmazione della gestione del contenzioso civile con l'individuazione dei criteri di priorità nella trattazione delle cause e sia prevista la possibilità di sottoscrivere convenzioni per formare professionalmente giovani laureati come assistenti di studio dei magistrati. Si tratta di un nuovo istituto bello e importante che apre i magistrati ai giovani e i giovani alla magistratura, a formarsi sul campo un'esperienza di ciò che potrebbe essere la loro professione futura. Ciò permette ai magistrati di utilizzare l'apporto di forze fresche, nuove e piene di entusiasmo.
Il decreto legislativo 1o settembre 2011, n. 150, in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ha dato attuazione alla terza delega prevista dalla legge 18 giugno 2009, n. 69.
Circa trenta procedimenti di cognizione, disciplinati dalla legislazione speciale, sono stati ricondotti ad uno dei tre modelli contemplati dal codice di procedura civile: un riordino sistematico che ha portato ad individuare regole sistematiche per il procedimento ordinario di cognizione, per il procedimento del lavoro e per il procedimento sommario di cognizione, raccogliendo in un unico testo legislativo le regole processuali precedentemente sparse in decine di leggi diverse, con vantaggio e beneficio per chiunque si debba accostare alla ricerca o alla lettura o allo studio di una norma processuale.
Con la legge 12 novembre 2011, n. 183, legge di stabilità del 2012, sono state introdotte ulteriori disposizioni per l'accelerazione delle controversie civili e per l'uso della posta elettronica certificata nel processo civile. Ovviamente, questi positivi interventi non esauriscono il panorama di quanto dovrà essere ancora sottoposto all'approvazione del Parlamento per sostenere la semplificazione delle procedure ma anche la specializzazione della professionalità.
Infine, anche alle patologie va posto rimedio. Crediamo di aver avviato, a questo riguardo, una prima risposta già con il decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212, ove sono state introdotte disposizioni urgenti in materia di processo civile e di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Il decreto-legge riprende, per la parte relativa al debitore non consumatore, una procedura di esdebitazione già prevista espressamente e regolamentata da un importante disegno di legge parlamentare, con un intervento limitato dell'autorità giudiziaria che omologa l'accordo raggiunto tra debitore e creditore. Inoltre, nel decreto-legge un'attenzione particolare è stata data al debitore consumatore, per il quale è prevista un'apposita procedura di esdebitazione: questa è la parte, in un certo senso, innovativa rispetto ad un tessuto che è dovuto all'iniziativa ed alla elaborazione di questo Parlamento e che il Governo ha, in qualche modo, voluto far proprio segnalando e sottolineando l'importanza di questo intervento.
Veniamo alla giustizia penale. Degli interventi connessi con l'emergenza delle carceri ho già detto in premessa. In questa sede va ricordato che l'adozione del codice antimafia, con decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, rappresenta la novità di maggior rilievo del 2011 sul fronte dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata. Il provvedimento contiene una ricognizione completa delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa, la loro armonizzazione ed il coordinamento anche con la nuova disciplina dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Di notevole rilievo è anche l'adozione dei regolamenti relativi all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che ne consentiranno la piena operatività. È sotto gli occhi di ciascuno di noi il risultato di questa attività. Ciascuno di noi credo che abbia esperienza di beni sequestrati e oggi riutilizzati e riportati alla piena utilizzabilità e fruibilità da parte di tutti i cittadini. Il lavoro svolto è stato imponente e molto impegnativo e proprio per questo esso appare meritevole di ulteriori approfondimenti e riordini sistematici.
Un ulteriore ed importante iniziativa legislativa riguarda il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 16 dicembre 2011, che prevede il conferimento al Governo delle deleghe legislative in materia di depenalizzazione, di introduzione nel codice di procedura penale degli istituti della sospensione del procedimento con messa alla prova e della sospensione del processo per assenza dell'imputato, nonché l'introduzione nel codice penale, nella normativa complementare, delle pene detentive non carcerarie. Si tratta di un intervento su materie ampiamente condivise dal Parlamento ed in linea con il principio di un diritto penale minimo. Esse sono state selezionate non solo per la loro efficacia deflattiva ma anche perché già ampiamente vagliate e fortemente e largamente condivise da questo Parlamento.
Esso intende introdurre elementi di razionalizzazione nel processo penale e nel sistema sanzionatorio e che appare destinato a determinare nel medio periodo un'ulteriore deflazione delle presenze in carcere per quei soggetti dalle modeste e facilmente controllabili potenzialità criminogene.
Sono finalmente alle conclusioni. Le considerazioni che ho sviluppato in modo necessariamente sintetico - anche se il tempo è trascorso per elencarle tutte - spero consentano di apprezzare l'azione del Governo, sia con riferimento alle iniziative normative, che all'impegno organizzativo ed esecutivo. Il complesso di questi interventi non è ancora riuscito a determinare una svolta definitivamente positiva e strutturale nel sistema giudiziario italiano, ma, come si è visto, non mancano né i segnali positivi, né le potenzialità che consentono di prevedere un miglioramento concreto. Bisogna lasciarsi influenzare e guidare da questi segnali positivi per consolidare e migliorare il servizio giustizia italiano con una strategia di sistema che è già ben definita nei suoi principali obiettivi.
Nel settore civile si tratta di deflazionare i flussi di ingresso della domanda di giustizia, anche attraverso l'affermarsi di metodi alternativi di definizione dei conflitti, di garantire la specializzazione dei giudici, di aggredire con decisione la massa dei procedimenti arretrati con il piano straordinario di smaltimento, eventualmente perfezionato ed ampliato, e di assicurare una più celere definizione dei giudizi e la prevedibilità delle decisioni, che darebbe certezza al diritto.
Nel settore penale si tratta, innanzitutto, di assicurare condizioni di dignità ai detenuti, nonché di razionalizzare e velocizzare il processo penale, di garantire ai magistrati tutti gli strumenti, anche tecnici ed informatici, assicurando nel contempo una gestione più oculata e razionale della spesa.
Nell'erogazione del servizio giustizia si tratta di assicurare condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale attraverso una profonda revisione dei modelli organizzativi e della geografia giudiziaria, sorretta da robusti e sistemici interventi finalizzati all'uso sempre più intenso delle nuove tecnologie in grado di assicurare, se adeguatamente inserite in strutture ben organizzate, notevoli risparmi di spesa ed un sicuro miglioramento della performance.
Per quanto possa apparire paradossale, proprio oggi, in presenza di una drammatica congiuntura economica internazionale, si presenta l'occasione forse irripetibile di riformare ancora più intensamente il sistema giudiziario italiano. Nessuno di noi, infatti, può permettersi di considerare ineluttabile il deficit di efficienza del sistema giudiziario italiano in un momento come quello attuale, ove ogni settore della vita pubblica e privata è tenuto a garantire il proprio contributo operativo al miglioramento delle condizioni economiche del Paese. Si può fare questo accettando supinamente e passivamente i sacrifici imposti dalle attuali necessità economiche, oppure - come credo fermamente sia più utile - lo si può fare, ciascuno nel proprio ambito, trasformando le criticità in opportunità di sviluppo e di miglioramento dei servizi offerti al cittadino.
È possibile applicare questo modello virtuoso anche al sistema giudiziario? Certamente sì, purché tutti i protagonisti (magistrati, avvocati, personale amministrativo, cittadini utenti) e non soltanto le istituzioni competenti (Governo, Parlamento e Consiglio superiore della magistratura) siano disposti ad accettare che un altro modello di servizio giudiziario, più snello, più rapido, meno costoso e meno intasato, non soltanto è possibile, ma è oggi assolutamente necessario e non più rinviabile. Ciascuno di noi sarà magari chiamato a rinunciare a qualche privilegio o a qualche abitudine consolidata e rassicurante, ma così facendo consegneremo al Paese, cioè a tutti noi, un sistema giudiziario migliore e più giusto (Applausi).
Il dibattito in aula
RITA BERNARDINI. (PD) Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, c'è un punto di vista che non è stato purtroppo preso in considerazione, nemmeno nella pur ampia e dettagliata relazione che lei ha fatto, eppure ad avviso della delegazione radicale è quello che dovrebbe stare più a cuore a ciascun rappresentante delle istituzioni: è il principio dello Stato di diritto, del rispetto delle regole, a partire dalla nostra Carta costituzionale. Ebbene la mancanza, totale a nostro avviso, di Stato di diritto si riflette non solo nella condizione in cui sono costretti oggi i detenuti, ma dobbiamo dire tutta la comunità penitenziaria, ma anche sull'enorme pendenza, che pure è stata richiamata in quest'Aula, dei procedimenti civili e penali.
Voglio ricordare che il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa nella risoluzione del 2 dicembre 2010, quindi non è molto tempo fa, ha posto sotto osservazione speciale lo stato della giustizia del nostro Paese e ha ribadito che i tempi eccessivi dei procedimenti giudiziari pongono in discussione la stessa riconoscibilità nel nostro Paese di un vero e proprio Stato di diritto, tutto ciò prospettando il rischio di gravi sanzioni a carico dell'Italia, con disdoro internazionale dell'immagine del Paese e vanificazione dei sacrifici sopportati dai cittadini per costruire una nazione degna di far parte del gruppo di testa della Comunità europea.
Quanto costa tutto questo, in termini anche economico-finanziari? Sul numero dei procedimenti penali pendenti, signor Ministro, lei ci ha ricordato che ammontano a 3 milioni 300 mila, bisogna però ricordare che in questo conteggio non sono contemplati, non sono inclusi i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti, che portano così la cifra totale a superare abbondantemente i 5 milioni. Ma ancora a proposito di violazioni, dall'analisi che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha compiuto sulle proprie decisioni nel cinquantennio 1959-2010 risulta che l'Italia ha riportato 2.121 condanne, la maggior parte delle quali dovute: all'eccessiva lunghezza dei processi (ben 1.139), alla mancanza di un equo processo (238), alla violazione del diritto di proprietà (297) e alla violazione del diritto ad un ricorso effettivo (76). Il nostro Paese risulta quindi quello fra i più condannati nell'ambito dell'Unione europea, mentre rispetto alla più ampia platea dei 47 Paesi che aderiscono alla CEDU il nostro Paese si attesta al secondo posto superato solo dalla Turchia, che ne ha 2.573, poi veniamo noi, con 2.121 e poi la Russia, con 1.079. Anche questo credo che dia l'immagine di una illegalità diffusa, siamo stati condannati e siamo stati richiamati anche in ambito europeo sulla responsabilità civile del magistrato e anche su questo il Parlamento ancora non è stato capace di intervenire.
Sono state richiamate le parole del Presidente della Repubblica - ecco perché io dico che il nostro punto di vista purtroppo, quello della legalità e dello Stato di diritto, non viene tenuto in considerazione -: cosa ha detto il Presidente Giorgio Napolitano? Stiamo parlando della fine del mese di luglio, ha dichiarato che la giustizia è una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile e che la realtà carceraria rappresenta un'emergenza assillante, fuori del trattato costituzionale, che ci umilia in Europa e nel mondo, sollecitando quindi dalla politica uno scatto e delle risposte adeguate. Io ritengo, signor Ministro, che questo scatto purtroppo non lo vedo all'orizzonte. Prendiamo un direttore di un carcere, dell'unico carcere che forse in Italia è nella legalità costituzionale, quello di Bollate.
Sapete come Lucia Castellano ha definito la condizione carceraria presente nei nostri istituti di pena? L'ha definita con l'espressione: tortura legalizzata. Queste sono le espressioni. Allora, cosa fare di fronte a questo stato totale di mancanza di regole? Vedete, noi ci apprestiamo ad approvare o a respingere alcune risoluzioni e voglio ricordare al Ministro che in questa legislatura sono state già approvate risoluzioni importanti che riguardavano le carceri, che riguardavano la giustizia. Anche sulla giustizia infatti bisogna arrivare ad una riforma. Prima ho citato la responsabilità civile dei magistrati, ma c'è il tema della separazione delle carriere, dell'obbligatorietà dell'azione penale. Ebbene, queste mozioni approvate non hanno dato alcun risultato concreto. Una è stata approvata nel 2009 e l'altra a gennaio 2010, quella sulle carceri. Allora, noi nel documento le chiediamo una cosa: di prevedere scadenze certe, rapide ed improrogabili entro le quali rientrare nella legalità, sia per quanto riguarda i procedimenti penali pendenti, sia per quanto riguarda i nostri istituti di pena. Noi prevediamo che tutto questo possa essere raggiunto attraverso la concessione di un'ampia amnistia e dell'indulto in grado, da un lato, di ridurre gran parte dell'arretrato pendente, che attualmente soffoca l'amministrazione quotidiana della giustizia penale, e, dall'altro, di ricondurre il sistema carcerario al rispetto del dettato costituzionale e della legalità internazionale (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico e del deputato Lehner).
DONATELLA FERRANTI. (PD) Signor Presidente, signor Ministro, mi sembra di cogliere nella sua comunicazione sicuramente segni di un voltare pagina, parole, toni e obiettivi che sembrano avere a cuore il buon funzionamento della giustizia, volto al soddisfacimento di interessi generali mediante l'individuazione delle priorità di intervento in settori dove più volte abbiamo detto, sin dall'inizio di questa legislatura, che è forte l'emergenza. Mi riferisco alla giustizia civile, alle cause del sovraffollamento carcerario e all'organizzazione giudiziaria.Pag. 23
Vorrei seguire in questo mio intervento un po' in parallelo il suo intervento, signor Ministro, il suo percorso, proprio per cercare di dare il nostro contributo.Per quanto riguarda l'emergenza della giustizia civile, le diamo atto di non avere enfatizzato i dati relativi ad una modesta riduzione della durata e del numero delle pendenze delle cause e di aver evidenziato gli sforzi compiuti negli uffici giudiziari per fronteggiare il lavoro ordinario, che non sono però stati in grado di tenere fronte al dato allarmante delle cause pendenti e delle nuove cause.
Come lei ha sottolineato, gli uffici maggiormente gravati sono le corti d'appello, che rappresentano il collo di bottiglia anche in relazione al nuovo carico di competenze, all'assenza di revisione delle piante organiche del personale dei magistrati e del personale amministrativo e delle strutture organizzative. La mole del contenzioso viene alimentata dalla cosiddetta legge Pinto in materia di indennizzo per la ragionevole durata dei processi - il paradosso è poi la «Pinto della Pinto» - ed urge la necessità di rivedere i meccanismi processuali e le competenze a decidere per queste violazioni, che attualmente affannano le corti d'appello e sottraggono giudici proprio dal contenzioso che riguarda i diritti e le cause dei cittadini.
Una volta che ormai, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di cassazione, si sono formati e stabilizzati i parametri di riferimento circa i criteri di indennizzo, potrebbe prevedersi la procedura del decreto ingiuntivo o la liquidazione effettuata dallo stesso giudice che decide la causa principale: un risparmio di tempo e risorse che sicuramente andrà a vantaggio dei cittadini.
Bisogna uscire dalle logiche di interventi di emergenza e verificare quali siano le cause che alimentano i flussi del contenzioso civile. È significativo l'aumento delle procedure esecutive, tanto immobiliari, segno di sofferenza dei mutui bancari, che mobiliari, segno del più generale impoverimento sociale; mentre è sintomatica quella che è stata definita la «domanda anomala di giustizia», derivante dalla reiterazione bnorme di iniziative giudiziarie collegate a questioni a volte di carattere seriale e di modesto valore economico. Anche in quel caso, occorre verificare le cause per cercare di rimuovere quelle che sono le inefficienze molte volte degli enti, nei ritardi nelle procedure di riconoscimento dei diritti nell'esecuzione delle sentenze, nonché per l'inadeguatezza organizzativa di alcuni uffici giudiziari, il cui sistema di registrazione delle controversie seriali non rende possibile l'individuazione di duplicati e frazionamenti da cui si origina e si moltiplica in modo incontrollato e abnorme il contenzioso.
È pacifico, dai dati riportati nella sua relazione, che, dopo tre anni di legislatura del Governo Berlusconi, il Parlamento ha varato provvedimenti legislativi che non hanno avuto la portata deflattiva annunciata. Esemplifico, e cerco di andare velocemente: sicuramente non ha avuto questa portata deflattiva l'annunciato provvedimento riguardante il rito processuale di cognizione sommaria della legge del 2009, né l'attuazione della delega sulla semplificazione dei riti civili, contenuta nel recente decreto legislativo n. 150 del 2011, che non ha colto tutte le aspettative che vi erano in quella auspicata unificazione e riduzione dei riti in relazione alle esigenze di tutela differenziata delle situazioni giuridiche soggettive. Il decreto legislativo non sarà in grado di risolvere i problemi che affliggono la giustizia civile di tutti i giorni.
Troppo spesso si è fatto ricorso, per dissuadere i cittadini dal rivolgersi alla giustizia e ridurre il contenzioso, all'aumento delle tasse per le impugnazioni: la metà del contributo unificato oggi previsto in caso di appello e un raddoppio secco dell'importo attuale per i ricorsi in Cassazione. Anche il provvedimento, in parte condivisibile, previsto dall'articolo 37 della manovra di luglio, che dà ai capi degli uffici un onere, un obbligo di prevedere un programma, anche di smaltimento dell'arretrato e, quindi, da lì fa discendere i premi di incentivazione che vanno all'ufficio ed al personale, ma, in concreto,Pag. 24rischia di privilegiare i tribunali che già vantano una soddisfacente dotazione di personale amministrativo.
In merito alla media conciliazione, disciplinata dal decreto legislativo n. 28 del 2010: noi abbiamo sostenuto e presentato proposte in tema di conciliazione, ma non abbiamo condiviso - e riteniamo sia una strada che non risolva le problematiche che si hanno come obiettivo - il suo carattere obbligatorio, che non ha avuto quegli effetti deflattivi che sono stati annunciati e sperati. Anzi, ha prodotto un ulteriore allungamento dei tempi e dei costi del contenzioso ordinario per il cittadino.
Apprezziamo la sobrietà con cui ella, signor Ministro, ha cautamente evitato di enfatizzare questi risultati, anche perché siamo in attesa di un'importante pronuncia della Corte costituzionale proprio sul punto della obbligatorietà della media conciliazione.
Riteniamo e siamo convinti che debba essere promossa la mediazione, ma una mediazione basata sulla volontaria cooperazione, che consenta più facilmente di raggiungere l'accordo, di preservare le relazioni tra le controparti, e che si deve realizzare attraverso un rinnovato percorso culturale volto, appunto, a una soluzione non conflittuale delle controversie, per costruire un sistema di giustizia mite, che deve, però, riconoscersi in autorevolezza e adeguatezza della decisione. È un percorso difficile, ma non impossibile, ma che non può derivare, a nostro avviso, da un sistema di «coazione».
Crediamo fermamente che vi sia un'importante necessità di intervento e di soluzioni organizzative - come ella ha sottolineato - attraverso la diffusione del processo telematico, che deve avvenire su tutto il territorio nazionale mediante un piano ministeriale di intervento omogeneo e adeguatamente calibrato.
Signor Ministro, le riforme di modernizzazione e digitalizzazione comportano - è vero - costi iniziali consistenti, ma si tratta di investimenti, alla lunga, produttivi, che rappresentano un obiettivo che deve essere razionalmente e concretamente perseguito, anche in linea con le priorità dell'Unione europea e con l'esigenza di garantire un monitoraggio dell'efficienza della giurisdizione. Ecco perché riteniamo che vi debba essere un piano assolutamente trasparente sulle risorse destinate all'informatizzazione, sui progetti, le priorità, le modalità di attuazione, con un obbligo di bilancio preventivo e di rendicontazione annuale analitica che consenta di verificare le risorse impiegate, gli obiettivi da raggiungere e quelli già raggiunti.
È condivisibile il percorso che lei ha tracciato laddove si afferma che si sono realizzati alcuni interventi, ma che è necessario omogeneizzare e diffondere su tutto il territorio nazionale le buone pratiche e le sperimentazioni positive.
Infatti, noi riteniamo che sia giunto il momento di superare quelle sperimentazioni e le responsabilità di quel tale ufficio o dell'altro ente locale, magari territoriale, che se ne fa carico. Occorre coinvolgere in maniera trasparente e sinergica il Ministro della giustizia proprio in collaborazione dialettica con l'organo di autogoverno, il CSM, l'avvocatura e gli uffici giudiziari al fine di realizzare forme di organizzazione strutturali su cui contiamo molto e abbiamo creduto fin dall'inizio di questa legislatura, in particolar modo sull'ufficio del processo.
L'ufficio del processo deve prevedere la riorganizzazione delle cancellerie e degli uffici amministrativi e anche la realizzazione dell'ufficio del giudice, con la conseguente valorizzazione e qualificazione professionale del personale e la individuazione di nuove figure, quali l'assistente di studio del giudice civile, magari con borse di studio modellate sul tipo dei contratti formativi di specializzazione previsti per i giovani medici, attingendo le risorse dai risparmi che si potrebbero avere proprio dalla «legge Pinto». Quei risarcimenti dei danni a causa delle lungaggini del processo civile potrebbero infatti essere utilizzati per l'accertamento dei diritti, per dare risposte ai cittadini in tempi ragionevoli e, al tempo stesso, per formare nuove generazioni di giuristi, di giovani magistrati, diPag. 25giovani avvocati e di operatori del settore in grado di coadiuvare il giudice nella fase che precede la sentenza, attraverso la ricostruzione dell'iter processuale, ricerche di dottrina e giurisprudenza, riducendo così i tempi di redazione della sentenza e dando un'impronta moderna al lavoro giudiziario.
Abbiamo sentito il suo impegno riguardante, tra l'altro, la razionalizzazione e revisione della distribuzione territoriale degli uffici giudiziari, che è stata inserita nella manovra di Ferragosto. Ella sa, signor Ministro, perché ne abbiamo fatto una specifica richiesta in Commissione giustizia, come, pur essendo questo uno dei punti chiave della nostra politica, riteniamo importante che la razionalizzazione delle circoscrizioni non si realizzi attraverso il mero taglio di uffici, ma sia preceduta da un adeguato lavoro di monitoraggio svolto da una commissione di studio. Tale commissione, a nostro avviso, deve essere integrata, occorre individuare criteri oggettivi, omogenei, adeguatamente ponderati e calibrati sulla realtà territoriali, e si dovrebbe preoccupare di svolgere audizioni delle varie rappresentanze, attuando un raccordo necessario anche e soprattutto con le Commissioni parlamentari.
Emergenza penitenziaria: bastano per tutti le parole recentemente pronunciate dal Presidente Napolitano a proposito del vero e proprio imbarbarimento di quella già pesante e penosa realtà, che ci umilia in Europa e ci allarma per la sofferenza quotidiana di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è un eufemismo e che ci separa proprio dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona.
Basta anche con quella politica di inasprimento continuo della pena e quindi anche di previsione della carcerazione obbligatoria che ha in qualche modo caratterizzato le legislature di questi ultimi anni, in nome di una sicurezza che, peraltro, poi si rivela un boomerang nel contesto sociale.
È condivisibile che il problema non può essere affrontato solo in termini di aumento dei posti disponibili delle istituzioni carcerarie o con provvedimenti di clemenza urgenti. Dobbiamo cercare coraggiosamente una pluralità di vie da percorrere al fine di non lasciare nulla di intentato per alleggerire una situazione insostenibile e soprattutto per evitare che continui ad essere largamente in uso un fondamentale principio di etica pubblica, prima ancora che di rango costituzionale, quello secondo cui le restrizioni della libertà personale devono essere sempre contenute nei limiti dello stretto minimo indispensabile o, per utilizzare le parole della Corte costituzionale, del minor sacrificio possibile. Bisogna fare passi avanti.
Bisogna utilizzare questo scorcio di legislatura, e quindi del suo Governo, per mettere a punto un intervento complessivo e sistematico, volto ad ampliare la tipologia delle misure alternative alla pena detentiva, specificatamente supportate da progetti professionalmente strutturati, volti al reinserimento sociale, con una particolare attenzione alle sorti delle vittime dei reati. Bisogna adeguare le piante organiche riferite al personale di polizia penitenziaria e non solo, ma soprattutto le figure degli educatori, assistenti sociali, psicologi, avviando un nuovo piano di assunzioni che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture.
Lei ha parlato anche di edilizia carceraria. Purtroppo, dopo l'esito non positivo della sperimentazione del commissario straordinario del piano carceri, ricominciamo daccapo. Ma non dobbiamo più pensare a un modello unico di istituto penitenziario, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono diecimila unità, mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha un unico risultato: l'abbrutimento della persona umana.
In quest'ottica, quindi, di fruizione di spazi comuni, magari con il supporto di braccialetti elettronici, signor Ministro, effettivamente funzionanti, l'inserimento in un'organizzazione modulare che preveda interventi mirati, condurrebbero finalmente a superare la dimensione del carcere come luogo insalubre, patogeno, dove l'ozio e la promiscuità prevalgono sul trattamento di concreto recupero e di rieducazione. Un intervento complessivo, quindi, coraggioso, volto anche a superare le preclusioni all'accesso alle misure alternative al carcere imposte dalla legge cosiddetta ex Cirielli e dai recenti pacchetti sicurezza per i recidivi ed i reiterati.
Bisogna ripristinare la competenza a valutare l'effettiva pericolosità sociale dei condannati in capo alla magistratura di sorveglianza, le cui piante organiche dovranno essere rafforzate dal punto di vista numerico al fine di consentire, anche attraverso la messa a punto di nuovi strumenti normativi, di svolgere appieno questo ruolo e di gestire, attraverso adeguati percorsi, la conoscenza del flusso degli ingressi in carcere. Bisogna frenare, signor Ministro, la spinta, anche legislativa, ad un ricorso eccessivo allo strumento della detenzione carceraria in attesa di giudizio per fini di cautela processuale.
Sulla giustizia penale, per i tempi lunghi del processo penale occorre una netta inversione di tendenza rispetto a quello che è stato rappresentato in questi tre anni di legislatura. La ragionevole durata implica, in tutte le disposizioni del processo penale, da quelle europee a quelle della nostra Carta costituzionale, un bilanciamento tra il far presto e il far bene. Tempi irragionevoli solo quelli in cui la giustizia si impantana in mille rivoli di accertamenti interminabili, di tempi morti, facendo gravare sull'imputato la dilatazione dell'arco temporale del processo. Ma è irragionevole, altresì, ritenere che, in omaggio di esigenze di efficientismo, si tagliano spazi difensivi o si allunghino a dismisura le sequenze di assunzione della prova, offrendo un'immagine di una giustizia celebrata frettolosamente, sommariamente, in cui magari si mandano al macero migliaia di processi.
Allora, bene - alcune sono contenute nelle nostre proposte che abbiamo in calendario in Commissione - la modifica al codice di procedura penale per la definizione del processo penale nei casi di particolare tenuità del fatto; va bene la questione riguardante le modifiche nel caso di materia di contumacia. Ma forse un'attenzione andrebbe posta anche a quelle che sono le conseguenze dell'istituto della prescrizione, quale causa di estinzione del reato, e agli effetti non positivi derivanti dalla legge ex Cirielli.
Il nostro sistema, signor Ministro, lei lo sa anche per la sua pregressa e specifica competenza, è pressoché unico in campo europeo in quanto consente il decorso dei termini di prescrizione per tutta la durata dei tre gradi di giudizio. Mi chiedo se non sia tempo, anche a fini deflattivi e per evitare l'uso strumentale del diritto all'impugnazione, che non si cominci a riflettere anche su questo. Soprattutto quest'esigenza è particolarmente viva ed attuale nell'ambito dei reati per corruzione, che in ogni caso hanno bisogno di essere ripensati sia in termini di prevenzione che di repressione perché la corruzione inficia il buon andamento della pubblica amministrazione, incide sull'economia del Paese.
È urgente, signor Ministro, dare attuazione alle ventidue raccomandazioni della «commissione Greco» in tema di corruzione, prevedere la punibilità della condotta relativa allo stabile asservimento della funzione pubblica ai voleri del privato a prescindere dal collegamento con il singolo atto; introdurre il delitto di autoriciclaggio; introdurre il reato di corruzione nel settore privato per manager di aziende; rivedere le soglie di punibilità e le pene del falso in bilancio; introdurre il «traffico di influenza»; prevedere diminuenti sostanziose per chi rompe e riesce a rompere il muro di omertà. Altri sarebbero anche i momenti di approfondimento. Li accenno soltanto per titolo, ci sarà poi modo anche in Commissione giustizia negli interventi che ancora debbono fare alcuni dei componenti del nostro gruppo: il fondo unico giustizia, misure di prevenzione antimafia a fronte europeo.
C'è bisogno di riforme nel settore giustizia, ma soprattutto c'è bisogno di recuperare profondamente il principio di legalità come presupposto indiscusso dello Stato di diritto, sentimento e coscienza delle regole cui non può sottrarsi nessuno, nemmeno la sovranità popolare che deve essere esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione. Su questa linea bisogna andare avanti, garantendo l'indipendenza della magistratura e la piena esplicazione della funzione difensiva, imprescindibile mezzo per realizzare appieno il corretto e imparziale svolgimento dell'attività giurisdizionale e, quindi, occorre dare piena attuazione ai diritti dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PAOLA SEVERINO DI BENEDETTO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, capisco che i termini parlamentari vadano rispettati, ma ritengo che più che di una replica si possa parlare, in questo caso, di un commento - un breve commento - agli interventi che vi sono stati.
Non riprenderò i temi adesivi, perché su quelli, naturalmente, si sono già utilizzate molte parole ed espressi molti concetti. Mi soffermerò soltanto su alcuni punti che, forse, richiedono qualche precisazione.
Ho molto apprezzato l'intervento dell'onorevole Ria. Egli ha fatto un particolare riferimento al tema delle strutture carcerarie terminate e non ancora entrate in funzione. È naturalmente uno dei temi di cui mi sono occupata subito, per verificare quante fossero e per quale causa non fossero entrate in funzione. In ciascuno dei casi ho trovato delle cause tecniche e dei motivi per i quali occorreva, comunque, attivare opere e spese.
Ciò non vuol dire che non sia stato fatto; ho immediatamente provveduto a che si facesse una ricognizione di queste carceri e ci si proponesse poi di attivare le opere perché esse possano essere messe in funzione. Gli sprechi, infatti, sono qualcosa che - come dicevo prima - vanno combattuti, grandi o piccoli che siano.
Onorevole Palomba, ho apprezzato molto il suo intervento per quanto riguarda i giudici di pace. Vi ho fatto un riferimento solo in relazione alle circoscrizioni; naturalmente hanno rappresentato e rappresentano nel tempo un elemento di grande importanza nella struttura della nostra giustizia. Per quanto riguarda la riduzione da tre a due delle direzioni generali della giustizia civile, mi risulta che il decreto sia già stato approvato dal Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2010 e che sia andato poi al Consiglio di Stato il 24 novembre del 2011. Tornerà in Consiglio dei ministri per l'approvazione definitiva e, se ci saranno spazi per applicare ciò che lei suggerisce, naturalmente lo verificheremo e lo faremo.
Onorevole Contento, mi soffermerò soltanto su alcuni argomenti che più specificamente mi hanno colpito e che non erano semplicemente il commento a ciò che avevo detto, tra gli altri quello relativo alle spese di giustizia e agli uffici giudiziari che le hanno incassate. Mi sembra un concetto giusto quello che tornino, in termini di utilità, le spese che sono state raccolte. È chiaro che la giustizia è un servizio diverso dall'impresa e che quindi questo parametro non potrà essere applicato in maniera precisa, puntuale e numerica. Però è un concetto che già si trova in tutta la normativa che riguarda le spese di giustizia; sto facendo una verifica su come queste spese di giustizia poi vengano distribuite. Credo che questo sia un tema importante perché, se la giustizia è un servizio che rende, è bene, intanto, che questa redditività sia conosciuta, e poi sia equamente distribuita e possibilmente ritorni, in gran parte, ai servizi che l'hanno prodotta.
Onorevole Ferranti, sul carattere obbligatorio della mediazione, vorrei dirle che per mia cultura e mia propensione io non amo nulla di obbligatorio, nulla che sia coercitivo e che si debba fare. Credo però che, se si sperimenta un istituto - semplicemente per vedere se questo istituto possa poi rientrare nella norma e quindi diventi una libera scelta del cittadino e per incentivare le parti che devono in qualche modo attivare questo procedimento, il giudice da una parte, l'avvocato dall'altra, perché abbiamo visto a quanti di questi procedimenti, comunque, partecipi l'avvocato, e l'utente dall'altro ancora - un periodo di rodaggio, al fine di poter valutare l'effettività dell'istituto, possa in qualche modo essere giustificato.
Molti argomenti erano importanti e vorrei riprenderli, seppure brevissimamente. Per quanto riguarda il tema del rapporto con le Commissioni: qualcuno ha detto che sono andata soltanto una volte in Commissione; intanto ci sono andata due volte, che nel giro di due mesi, non voglio dire sia un record - per carità, non mi piace vantare dei record - però, con il ritmo che ha avuto questo inizio di attività governativa, era veramente il massimo che potessi chiedere a me stessa. Ciò non vuolPag. 37dire che non mi chiederò ancora di più e che, non appena finito questo doveroso adempimento, anche quello relativo alla conversione del decreto-legge, tornerò in Commissione.
Anche perché dalle Commissioni mi sono venuti una serie di suggerimenti, importanti, seri, che ho cercato di ascoltare, ho cercato di fare miei nei limiti del possibile.
Altro tema era quello dell'edilizia carceraria e del lavoro carcerario. Quello del lavoro carcerario è un tema importantissimo, al quale mi sto dedicando da qualche giorno, perché purtroppo si tratta di giorni nell'ambito dei due mesi, e mi sembra senz'altro un tema da affrontare seriamente.
L'onorevole Vitali ha sollevato il problema della Carta del detenuto e delle infrazioni comunitarie. Io confido ovviamente che la Carta del detenuto non debba essere violata e quindi non si dia luogo a infrazioni comunitarie. Tuttavia, sul tema delle infrazioni comunitarie devo dire che spesso è anche la visione che noi abbiamo e che diamo dei problemi che in qualche modo le introduce. Io credo che una buona informazione su questo aspetto sia importante per sapere quante infrazioni comunitarie ci siano, di che tipo siano e come rimediare ad esse. Se ne è parlato in vari interventi e naturalmente occorre tenerne conto, perché il livello di osservanza della normativa comunitaria e dei principi comunitari va pienamente osservato.
Ancora: per quanto riguarda i progetti di finanza, sono un'alternativa possibile all'utilizzo di denaro pubblico per l'edilizia carceraria. Lo sono, vedremo se decolleranno e se decolleranno in maniera proficua.
Onorevole Bernardini, il tema delle sanzioni a carico dell'Italia è naturalmente un tema che mi sono posta e rientra tra i costi della giustizia. Il tema delle carceri, la tortura legalizzata: sono tutti concetti sui quali siamo d'accordo e sui quali l'impegno di questo Governo non è certamente di scarsa rilevanza, per lo meno dal punto di vista delle intenzioni.
Poi sia l'onorevole Bernardini che l'onorevole Mario Pepe hanno posto il tema dell'amnistia. Come ho già detto in diverse occasioni l'amnistia richiede maggioranze qualificate, richiede un'attivazione del Parlamento e ho già detto anche su questo che, se il Parlamento dovesse raggiungere intese sul punto, naturalmente il Governo non avrebbe - o perlomeno parlo per me, come Ministro della giustizia - io non avrei nulla da obiettare, in ossequio, come sempre, alla volontà parlamentare.
Onorevole Molteni, sull'amnistia mascherata per quanto riguarda il tema delle camere di sicurezza come alternativa alle porte girevoli, nessuno verrà rilasciato in più per questo provvedimento. Si tratta di un provvedimento che si ripromette semplicemente di accorciare i tempi di un inutile, spesso, mantenimento in carcere. Sarà sempre il magistrato a decidere se la persona dovrà essere liberata o no, non cambierà nulla. Vorrei che fosse un messaggio chiaro anche per coloro che sono spaventati, giustamente, in termini di difesa sociale. Nessuno uscirà dal carcere per questo provvedimento, si tratterà solo di decidere in quarantotto ore e in un luogo diverso dal carcere, ma sempre contenuto e custodito, quale sorte dovrà avere. Lo deciderà un magistrato come lo decideva prima, solo che ciò avverrà in termini più brevi e con minori dispendi.
L'onorevole Paolini ha posto il tema della magistratura onoraria che, naturalmente, lo convengo, ha rappresentato una grande risorsa, ed ha affrontato il tema dell'avvocatura. Liberalizzare e valorizzare, onorevole, non sono due termini in contrasto. Proprio ieri vi è stato un importante incontro con le professioni: noi vorremmo coniugare concorrenza e qualità, credo che questi siano i termini. Concorrenza leale, libera, aperta, come quella che già vi è, naturalmente. Su questo non vi saranno interventi strutturali. I temi che riguardano le tariffe non attengono, certamente, al tema delle modalità di accesso. Vorremmo valorizzare la qualità delle libere professioni e dell'avvocatura. Credo che questo sia un intento che possa essere condiviso da tutti, in un dialogo che spero si sia aperto con il tavolo di ieri e che continuerà nei giorni successivi.
In merito all'affidamento dei minori, del quale abbiamo parlato in Commissione, credo sia un tema del quale riparleremo, perché ho visto un'ampia condivisione su questo aspetto. Onorevole Giulietti, quello delle morti sul lavoro è, in effetti, un tema del quale si è parlato poco, nel poco tempo che vi è stato. Mi sembra un tema sociale serio. Bisogna capire in che modo sia affrontabile normativamente e in che modo sia affrontabile dal punto di vista giudiziario perché, le leggi a tutela del lavoratore, vi sono, naturalmente. Bisogna comprendere se si tratta di un tema di applicazione o di un tema di norme, e in che misura, l'uno e l'altro, contribuiscano a questo dolorosissimo fenomeno.
Ho concluso e, come vedete, non si tratta di repliche, ma di semplici considerazioni flash sugli aspetti più importanti, sottolineando un aspetto: nella selezione delle norme da promuovere ho tenuto presente un criterio fondamentale, che è quello del rispetto della volontà del Parlamento. La selezione è stata fatta selezionando quelle categorie di provvedimenti che avevano, o che potevano avere, un'ampia condivisione da parte di chi, su di essi, si deve esprimere, e cioè il Parlamento
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