Francesco Lo
Piccolo*
Sono giornalista dal 1980, ho avuto buoni maestri. Fanno
parte della mia storia professionale che oggi mi ha portato a dirigere un
giornale scritto dai detenuti. Ma ora a distanza di anni e di fronte al caso
Sallusti mi rendo conto di quanto ci sarebbe ancora bisogno delle lezioni di
chi ci spiegava che il giornalista ricerca la verità e non manipola i fatti ad
uso e consumo di una o di un’altra parte politica. Ho perciò inviato una
lettera al Presidente dell’Ordine dei
giornalisti d’Abruzzo, dove sono iscritto da oltre dieci anni, dicendogli che
faccio fatica a riconoscermi iscritto all’Ordine, se giornalista significa
usare la libertà di stampa e di informazione come ha fatto il giornale Libero.
Anch’io ritengo assurdo e inaccettabile
l’arresto per il reato di diffamazione a mezzo stampa; anch’io ritengo che
questo reato debba essere punito con il risarcimento alla parte offesa e con la
rettifica. Ma scendere in piazza dietro la bandiera della libertà di stampa in difesa
di chi la calpesta non mi sta bene. Perché, sapendo di mentire, sul giornale
“Libero”, all’epoca diretto da Sallusti, è stato pubblicato un articolo dal titolo “Dramma di una
tredicenne, giudice ordina l’aborto”: storia non vera, con una ricostruzione dei
fatti tutta inventata, in malafede perché era già stata smentita anche da Ansa
e Tv. Ovvio che l’arresto per un articolo è cosa mostruosa, ma se scrivendo si
compie un falso e si diffama è altrettanto ovvio che questo è un reato e che va
punito: a tutela di un diritto di tutti, perché i giornalisti non hanno alcun diritto
in più degli altri cittadini.
L’articolo pubblicato da Libero non è affatto espressione di
quel diritto fondamentale che è la libertà di stampa, al contrario nega e
offende la libertà di pensiero. E’ forse un’opinione scrivere che dei
magistrati alleati e concordi con padre e madre e medici assassini avevano
estirpato e ucciso una creatura dal grembo della madre? E’ libertà di pensiero
invocare la pena di morte per questi giudici, medici, genitori?
Alla luce di ciò mi è davvero difficile ritrovarmi nelle
dichiarazioni dei tanti che parlano di sentenza devastante per la libertà di
stampa, e nello stesso tempo non condannano con altrettanta chiarezza il fatto
che ha scatenato la vicenda: la pubblicazione di una falsa notizia. Chiarezza che
andava fatta già all’indomani della pubblicazione di questo falso. Affinché la protesta
contro una legge ingiusta sia credibile occorre pertanto che sia accompagnata
dall’affermazione che chi scrive il falso e chi diffama, chi usa l’informazione
per ben altri scopi, non è un giornalista e che per questo deve essere cancellato
dall’Ordine e punito in base a una giusta legge (non certo il carcere). Il principio
“il giornalista ricerca la verità e non manipola i fatti per interessi di parte”
è scritto nel nostro Dna di giornalisti, e io, se non viene ribadito, ho sempre
più difficoltà a sentirmi iscritto e parte dell’Ordine dei giornalisti.
*direttore di
Voci di Dentro
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