UN SALUTO A FRANCESCO M.
Mi ha telefonato mia figlia alle 10,00 di sera dandomi la notizia tremenda, inaccettabile della morte di Francesco M. Un violento colpo allo stomaco mi ha tolto il respiro e sono rimasto seduto sul divano attonito senza avere la capacità di muovere un solo muscolo. I ricordi, il suo viso mi scorrevano davanti come se stessi rivendo quei momenti nei quali, una forzata convivenza ci ha fatto incontrare, conoscere e scambiare qualche gesto di umana sopportazione. Lui molto più giovane di me passava i giorni impegnandosi nei lavori che gli erano stati affidati e nella cura del suo corpo che voleva mantenere tonico ed atletico a tutti i costi. Ore a percorrere di corsa il perimetro del campetto o coinvolto in mitici scontri di calcio dove la sua abilità emergeva sulla mediocrità degli altri; ecco Francesco era così sempre tirato al massimo curato nell’aspetto come se dovesse andare ad un incontro galante. Pronto allo scherzo, alla battuta viveva integrato nelle regole del gruppo dominante ma non perdeva occasione di dimostrare con puntuali interventi una sensibilità ed intelligenza non comune partecipando agli incontri settimanali che “Voci di dentro” teneva in carcere e scrivendo anche alcuni articoli.
Il ricordo va a quelle volte che ci siamo trovati insieme negli incontri con i familiari; veniva a trovarlo la mamma ed alcune volte la moglie con le due figlie. Una giovane ragazza che mostrava un certo imbarazzo a trovarsi in quel luogo, ma felice nel poter vedere le bambine, in particolare la più piccola, giocare con il loro papà. Non so e non mi importa sapere cosa in realtà c’era dietro quella facciata di apparente normalità che Francesco mostrava con una calma molte volte trattenuta a stento quando veniva preso da uno scatto d’ira. Quello che è importante è che la vita di un ragazzo è venuta meno lasciandosi sopraffare dalle avversità in un momento non facile al quale non è riuscito a contrapporsi sentendosi solo, perso e non più capace di combattere. Ho qualche notizia diretta sulle sue ultime condizioni, di come stava vivendo questo periodo ai domiciliari in un appartamento prossimo a quello della madre, ma il conoscere questi particolari può solo arricchire un quadro di pettegolezzi che nulla aggiungono ad una realtà tragica di un suicidio perpetrato fuori dalle mura del carcere. Quello che dovrebbe far riflettere forse è la potenza distruttiva del carcere, la sua capacità di incidere così pesantemente nella vita di un uomo tanto da trasfigurarlo, da annientare la capacità reattiva avendone minata la personale autostima. Non c’entra nulla se trattasi di colpevole o innocente; il problema sta nel fatto che questa istituzione, il carcere, così come è oggi oltre che essere inadeguata rispetto ai tempi è contraria ai principi della Costituzione. Venendo inoltre propagandata come baluardo alla sicurezza della società civile non viene accettata e vissuta dalla stessa società come luogo di recupero di chi ha potuto sbagliare, disconoscendo che l’errore oltre che essere casuale a volte è provocato dalle non eque condizioni di vita sociale che il sistema ci impone. La mia è una piccola voce in un caos di parole scatenate da una supponenza sdoganata solo da titoli acquisiti senza una vera conoscenza di cosa accade dentro ad una persona in un luogo come quello del carcere. Io lo so, l’ho vissuto, lo sto vivendo e non si supera. Non sono gli anni che ne affievoliscono i ricordi o che riducano i disastri interni provocati da un sistema che è basato solo sull’annullamento della personalità, dove le regole di vita sono tutte sulla sopraffazione dell’individuo. Bisogna conviverci, bisogna essere più forti dell’indolenza e del preconcetto di cui la nostra società è imbevuta; ma non tutti ne sono capaci, alcuni stanchi del combattere quotidiano si arrendono ma non sono da compatire, sono solo da rispettare perché muoiono vinti da un bieco menefreghismo sociale. Ennio
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