Il prossimo 16 aprile arriva a Pescara al Circus, alle ore 10.30 e alle 17.00, “Quando si spengono le luci, storie del Terzo Reich”, rappresentazione teatrale tratta da un libro di racconti di Erika Mann, edito da il Saggiatore, liberamente adattato da Carla Viola e con la regia di Alberto Anello. Patrocinata dal Comune di Pescara, dalla Fondazione Pescarabruzzo e dall’Anpi, è organizzata dalla Casa Circondariale di Pescara e dall’Associazione Voci di dentro, Onlus che da anni opera all’interno delle carceri. Sul palcoscenico, in un atto unico di circa un’ora e quindici minuti, un cast d’eccezione composto da undici detenuti della Casa circondariale di Pescara e sette volontari.
La rappresentazione, già andata in scena con gran successo nel carcere di Pescara il 24 febbraio e dopo quella in programma all’Università D’Annunzio a Chieti la mattina dell’11 aprile organizzata dal professor Gianmarco Cifaldi, corso di laurea in Sociologia e criminologia (saranno presenti tra gli altri l’Ambasciatore di Israele Ofer Sachs, i rettori delle Università di Chieti e di Teramo, il direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche e sociali professor Fabrizio Fornari, il professor Paolo Coen dell'Università di Teramo, rete universitaria per il giorno della memoria) è frutto di un anno di lavoro dell’Associazione Voci di dentro. Al centro di questa nuova iniziativa della Onlus c’è il tema della violenza e della soppressione della libertà ad opera del regime nazista. Ma soprattutto è un momento di studio e di riflessione, di incontro tra persone, di dialogo e di confronto alla scoperta dell’altro, del rispetto, della fiducia e della collaborazione, contro resistenze, pregiudizi e insicurezze che possono creare fratture e muri. Dunque teatro per conoscere, perché il passato sia davvero di insegnamento per il nostro presente perché non accada più che l’altro sia considerato il nemico da uccidere. Perché l’altro è parte di noi, e la vita degli altri è la nostra stessa vita.
Tutto si svolge in una stazione di un piccolo paese della Baviera poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale: un uomo con una valigia scende dal treno e inizia a camminare nella confusione, in un via vai di gente che si muove come se fosse in cerca di un riparo o in fuga da quella città dove nessuno riesce a capire che cosa sta succedendo, che cosa è già successo e soprattutto quello che da lì a poco succederà. Sulle note di alcuni passi di J'y suis jamais allé di Yann Tiersen, sul palcoscenico si alternano un forestiero, un commerciante, la moglie militante nel partito, una coppia di fidanzati, un industriale, un giornalista, una cantante. I personaggi sono vittime, ma non mettono mai in discussione il regime direttamente, per manifesta incapacità di tener testa al delirio collettivo. Vittime che scopriamo di scena in scena, come scene sono anche i racconti di Erika Mann, racconti che sono quasi una cronaca giornalistica, storie vere che svelano la menzogna propagandistica, generalizzata e martellante del regime. Storie sul baratro di quella follia che riecheggia in tutti i momenti dello spettacolo e che si concludono in una immane tragedia. Tragedia che forse si sarebbe potuto evitare.
Tragedia che oggi viene lasciata alle spalle (finita!?) come cosa passata ma nello stesso tempo, al contrario dei tanti buoni propositi, riproposta da movimenti che agitano svastiche, che si dichiarano razzisti e xenofobi, che rifiutano ed escludono sempre più apertamente opinioni e culture diverse. In una continua escalation all’interno di un ciclo cominciato da tempo dove l’esclusione di chi è povero, di chi viene dal sud del mondo è ormai norma. Norma “perché siamo a rischio invasione” e che ora viene disciplinata, organizzata e regolata secondo criteri che ci portano al passato: i diritti da universali e indipendenti, astratti, tornano ad essere delle regalie feudali, delle concessioni che chi ha concede a chi non ha. E soltanto se è “utile”, come una cosa, come mezzo.
Emozione, tensione, paura, magia, illusioni: c’è questo e tanto altro in questo atto unico. Un lavoro non facile: molti degli interpreti sono stranieri con qualche difficoltà con la lingua italiana e tanti sono dovuti essere sostituiti in più occasioni per via di trasferimenti e uscite dall’Istituto per fine pena. Un lavoro non facile anche perché realizzato dentro un carcere, luogo dove regole e tempi non sono certo uguali a quelli che ci sono nella società esterna. Ma alla fine il risultato c’è stato. Ed è un successo. Un grande successo: per il tema affrontato, per le riflessioni che suscita, per l’emozione delle parole del testo e della musica, tra corse e danze, e improvvisi rallentamenti. Dove il fantastico è unito e confuso alla realtà dando luogo alla follia collettiva che investe uomini e donne sotto il regime. Sotto qualunque regime.
(ingresso gratuito, per prenotazioni scrivere all’Associazione Voci di dentro al seguente indirizzo: teatro@vocididentro.it).
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