venerdì 28 settembre 2012

Sabato incontro all'Ipsia Pomilio




Sabato 29 settembre quarto appuntamento con gli studenti  dell’l'Istituto Ipsia Pomilio di Chieti Scalo nell’ambito del  progetto sulla legalità finanziato dal Csv di Chieti dal titolo "Libera-mente". Dalle 9 alle 13 nell'Aula Magna in via Colonnetta  si parlerà di pene alternative alla detenzione (relazione dell’avvocato Davide Galasso),  pregiudizi e stereotipi del mondo carcerario (relazioni di Giuliana Agamennone  e Francesco Lo Piccolo), informazione e diritti (Francesco Lo Piccolo) .
La brochurefronte ) e (retro )

mercoledì 19 settembre 2012

Padova: l'intervento del ministro Severino


il ministro Severino su "carcere e lavoro" from vocididentro on Vimeo.

e qui il video di tutto il convegno (fonte: ilsussidiario.net)

 (Adnkronos) "Contro il sovraffollamento mi sembra che un po' di sana deflazione del carcere sia estremamente importante". Lo ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino al suo arrivo all'Universita' di Padova per un convegno sul tema del lavoro in carcere. Il ministro prima aveva visitato le due carceri padovane e ha spiegato che "sono venuta a Padova e ho visitato due realta' carcerarie, ho constatato il sovraffollamento". "Come affrontarlo? - si e' chiesta il ministro - la ricetta e' un mix di elementi. Noi abbiamo gia' avuto la legge 'salvacarceri' che ha cominciato a produrre qualche effetto, perche' ci sono stati tremila ingressi in meno relativamente al fenomeno delle 'porte girevoli' - ha continuato - poi c'e' adesso la discussione sulle misure alternative alla detenzione e io credo moltissimo a questo progetto, non perche' sia un progetto del governo, ma perche' le misure alternative sono da tutti considerate il vero modo per affrontare il problema del carcere". Secondo il ministro infatti "il carcere e' l'estrema ratio di questo paese e' l'ultima risorsa alla quale si ricorre quando gli altri tipi di pena non funzionano". Ma per Paola Severino ci sono "casi in cui si potrebbe ricorrere alla messa in prova e per reati minori potrebbe addirittura evitare il processo e la detenzione", ha spiegato riferendosi ad esempio al furto di cibo da parte di un pensionato in evidente stato di necessita', in un supermercato.

sabato 8 settembre 2012

150 tavor per non tirare a campare


testo di Francesco Lo Piccolo  

Chissà quante volte si è sentito dire “fatti la galera, non  rompere”. Dopo due anni di carcere per una serie di truffe, senza più speranze e  illusioni, con un fine pena molto lontano negli anni, il mio amico D.S., detenuto a Vasto, ha inghiottito 150 pillole tra Tavor e altri farmaci. Una scorpacciata di tranquillanti  per farla finita una volta per tutte, per non tirare a campare, per smettere di campare in una cella, in un posto di merda, senza futuro. D.S. per fortuna si è salvato, e dopo due giorni di incoscienza, ha riaperto gli occhi. E’ intubato e non può parlare, ma è vivo.
  
Gli ho scritto una lettera ed è stato molto difficile perché se prima quando interveniva e partecipava ai nostri laboratori di scrittura spesso mi metteva angoscia, adesso D.S. col suo gesto mi ha letteralmente mandato in crisi. Perché indirettamente mi ha detto che quello che faccio, quello che fa Voci di dentro, non basta. Certo spesso il nostro operare come volontari mostra e dà speranze a gente senza nemmeno i sogni, ma in  realtà troppe volte illude. A dire il vero non sempre l’illusione è negativa, anzi spesso è una molla capace di vincere paure e di creare desideri, insomma fa andare avanti. Ma per chi vive 24 ore su 24 dentro una cella, la disintegrazione fisica e psicologica è tale che la molla scatta al contrario, e l'illusione-suggestione che in molti casi può guarire, lì dentro invece poco a poco ti strozza e ti uccide. Qualche cosa abbiamo fatto, anzi in alcuni casi molto; per alcuni detenuti siamo anche riusciti a costruire e ricostruire un percorso di vita fatto di studi e anche di lavoro, ma sono gocce nel mare. Ed è un mare in burrasca quello delle carceri, un mare in tempesta dove la pena, così come ora è, non ha alcun senso rieducativo, è inutilmente coercitiva e mortificante, mette insieme malati e sani, distrugge dignità, e toglie vite umane. Il fatto è che D.S. ha messo a nudo un mio nervo scoperto: il suo gesto- il suo per fortuna non riuscito suicidio e quello di tanti altri invece riusciti-  mostra la realtà carceraria per quello che è: in troppi casi un posto sbagliato, una costruzione antiquata e barbara. La mia lettera inviata a D.S. chiudeva così: "[…] ma, caro amico, arrendersi non serve, tirare la spugna ancora meno. Siamo in ballo e bisogna ballare perché noi sappiamo bene quello che va fatto affinché la vita, anche quella dentro una cella, non sia un tirare a campare e affinché siano altri e non noi gli uomini della resa, affinché siano quelli che pensano “fatti la galera” coloro che devono rimangiarsi le loro convinzioni…[…] dammi una mano a vincere, per me, per te, per tutte quelle persone che spesso finiscono in carcere, come ha sostenuto C. M. Martini, per ignoranza, mancanza di realismo, irresponsabilità, asocialità, istinti negativi, condizioni di abbandono, cattiva educazione. Insomma non sempre per loro colpa. L’altro giorno quando sono venuto a trovarti con Mascia ti ho lasciato una frase, “un abbraccio” ho scritto sulla copertina di Voci di dentro. L’ho lasciata a un agente che era di guardia alla tua stanza d’ospedale. Una brava persona. Anche per lui, per gente come lui, io non  voglio mollare”.

sabato 1 settembre 2012

Ricordo di Carlo Maria Martini

Il comportamento delinquenziale e malavitoso può essere paragonato a una malattia: è una deformazione morale, causata spesso da ignoranza, da mancanza di realismo, da irresponsabilità, asocialità, istinti negativi, da condizioni abbandoniche e miserabili, da cattiva educazione; può essere curata e guarita.
Qui un passaggio dal suo libro "Non è giustizia. La colpa, il carcere, la parola di Dio”:
(…) Il recupero dell’uomo deviante è possibile quando vengono accettate alcune premesse. Ne sottolineo quattro: - La persona umana è il massimo valore a motivo della sua intelligenza e libera volontà, dello spirito immortale che la anima e del destino che l’attende. La sua dignità non può essere svalorizzata, snaturata o alienata nemmeno dal peggior male che l’uomo, singolo o associato, possa compiere.