La lettera di Francesco Lo Piccolo
Giornalista, Presidente Di Voci Di Dentro
"La Regione Abruzzo ha scelto il SUO garante dei detenuti. Per me, che conosco e capisco il mondo del carcere, questa partita è ora chiusa. Ed è chiusa in un modo che non mi piace. Ma del resto cosa aspettarsi dalla Regione Abruzzo? Da una Regione dove ha la maggioranza un partito il cui leader usa termini come “devono marcire in carcere”, da una Regione dove c'è un altro partito che non comanda più e che non sa fare pubblicamente una sua scelta e imbuca cinque schede bianche, da una Regione dove c’è il gruppetto grillino che del carcere parla con frasi fatte e stereotipi…beh da questa Regione non c’è davvero da aspettarsi nulla di buono. In tutti i campi, in tutti i sensi.
Mi ero candidato a Garante perché lo ritenevo e lo ritengo tutt’ora un punto di arrivo del mio percorso nel campo dei diritti, percorso fatto di impegno sociale e di anni di studio e ricerca sulle tematiche penitenziarie e detentive (recentemente mi sono persino preso una laurea in sociologia e criminologia). E perché la mia figura corrisponde appieno ad almeno tre dei cinque requisiti richiesti ai candidati: ovvero aver svolto attività di grande responsabilità e rilievo in ambito sociale e conoscere a fondo le problematiche della reclusione e del rapporto mondo esterno - mondo interno, con attenzione particolare al dettato costituzionale del reinserimento dei detenuti; avere comprovata competenza nel campo delle scienze giuridiche, scienze sociali e dei diritti umani e con esperienza in ambito penitenziario; avere alta e riconosciuta professionalità o essersi distinto in attività di impegno sociale.
Ma hanno preferito il candidato-professore. Hanno preferito il LORO garante dei detenuti. Hanno ignorato uno come me che i detenuti li incontra quotidianamente, direttamente e senza filtri. Per cambiare prospettiva, per costruire una società migliore a partire proprio dalle sue contraddizioni, per rimettere al centro l’uomo e farlo uscire come uomo e non come ex detenuto. Perché il carcere sia visto come extrema ratio anche in considerazione del suo fallimento, del suo essere scuola di criminalità, in definitiva costoso e inutile sistema che non previene e non corregge. Evidentemente troppo avanti questi concetti per chi vede il problema della devianza come problema penale mentre è invece un problema sociale. L’avevano detto fior fiore di studiosi negli anni 80: A. Baratta, D. Melossi, e poi M. Pavarini e nel secolo scorso G. Rusche e O. Kirchheimer. Ma la galera rende di più. E questo diritto penale cresciuto a dismisura e senza limiti (come ha denunciato V. Manes) piace e convince. Chi se ne frega del presidente di un’associazione di volontariato che da dieci anni lavora nelle carceri dell’Abruzzo?
Come ho detto durante la mia audizione in Regione lo scorso 16 luglio e in qualche timida e vana telefonata a qualche consigliere, il mio lavoro inizia come volontario nella Casa Circondariale di Chieti nel 2007. Nel 2008-2009 sono fondatore e presidente (ancora oggi in carica) di Voci di dentro, Onlus iscritta all’Albo della Associazioni di Volontariato della Regione Abruzzo. Dal 2009 ad oggi organizzo e dirigo all’interno delle Case Circondariali di Chieti e Pescara e per alcuni anni anche a Vasto e Lanciano, in accordo e in collaborazione con le Direzioni e le aree educative, incontri sulla legalità per il rispetto dei diritti, laboratori di scrittura con la realizzazione di un periodico regolarmente registrato in tribunale scritto dai detenuti e diffuso in tutta Italia, laboratori di fotografia, disegno, sartoria, corsi di computer e web grafica, e di teatro culminato con la creazione di una compagnia teatrale (composta da detenuti e da volontari) e la messa in scena all’esterno del carcere in teatri a Chieti, Pescara, Atri, Ortona, e all’Università di Chieti, di due spettacoli teatrali.
Una complessità di attività che sono diventate nel carcere di Pescara e in quello di Chieti attività quotidiane (mattina e pomeriggio) con il coinvolgimento ogni giorno di una cinquantina di detenuti impegnati nei vari laboratori. Una cosa enorme, difficile, qualche volta anche guardata con diffidenza per la forza messa in campo: una sessantina di volontari, poi alcuni esperti assunti grazie a bandi regionali ed europei, quindi alcune centinaia di studenti universitari di Sociologia e Criminologia, Scienze dell’Educazione, Servizi Sociali, Psicologia delle Università di Chieti-Pescara e dell’Aquila entrati in Voci di dentro come tirocinanti e seguiti da me personalmente in qualità di tutor - per effetto delle Convenzioni da me stipulate con i vari Dipartimenti – con un primo corso teorico sul sistema penale e sull’ordinamento penitenziario e su tematiche relative alla produzione di fenomeni devianti e alla loro costruzione sociale, con particolare riferimento alla piccola e grande criminalità, al rapporto fra disagio e devianza. Insegnamento teorico al quale sono seguiti i laboratori all’interno degli istituti penitenziari direttamente a contatto con i detenuti.
Un lavoro fatto di discussioni, relazioni, dialoghi e attività: una complessità di azioni per rimuovere pregiudizi, distorsioni cognitive, esclusioni, dogmi, rappresentazioni della realtà basate su luoghi comuni. Da una e dall’altra parte. Una complessità di azioni contro lo stigma per eliminare diffidenze, rimarginare ferite, per tentare di togliere alle persone detenute quelle corazze (per difesa e per offesa) fatte da anni di vita in carcere e di condotte ai margini della società. Una complessità di azioni di supporto all’area trattamentale per ricostruire consapevolezza, responsabilità, valori condivisi, regole. Tutto questo in un luogo dove si può pensare un futuro diverso da quello passato. Un progetto questo che ho chiamato “la città” e che si è potuto realizzare proprio all’interno del carcere di Pescara in uno spazio di oltre 300 metri quadrati fatto di corridoi e stanze che sono diventati luoghi di vita, studio, lavoro. Con l’obiettivo di aiutare l’area educativa (impossibilitata a operare per il cambiamento per deficienze strutturali ovvero con un educatore ogni 65 detenuti) e dare così concretezza a ciò che la Costituzione ha indicato: le pene (non necessariamente la pena del carcere) devono tendere al reinserimento e alla risocializzazione.
Dunque un lavoro che può dare frutti se è accompagnato dal lavoro fuori dal carcere. Ed è stato questo l’altro filone del mio impegno sociale e dell’impegno dell’associazione che ho fondato: unire il dentro con il fuori, annullare questa distanza che non serve all’istituzione carcere che sopporta una recidiva che è al settanta per cento e neppure serve alla società che si trova alle prese con una microcriminalità senza fine. Ecco perciò le attività di sensibilizzazione presso enti pubblici ed enti privati perché investano risorse contro la devianza, per finanziare corsi e laboratori dentro le carceri, per più cultura e più lavoro, per agevolare il rinserimento anche di persone in attività di volontariato, di messa alla prova, di riparazione del danno. Un insieme di azioni che mi ha visto in prima persona promotore di protocolli con Ufficio di esecuzione penale esterna, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzioni delle carceri, per l’avvio, in accordo con la Magistratura di Sorveglianza, di percorsi differenziati persona per persona: oggi sono decine i detenuti, o persone ai domiciliari, o persone affidate a Voci di dentro, che sono impiegate in attività di pubblica utilità (assicurate dall’Associazione e seguite da un tutor della stessa Associazione) presso l’archivio del Tribunale civile di Pescara, le Terme di Chieti, la sede dell’Associazione. Una miriade di attività che si accompagnano alla promozione di convegni e seminari, di incontri nelle scuole contro il bullismo, contro la droga, per la legalità, per la cultura del lavoro, per lo studio.
Una molteplicità di azioni alle quali si sono aggiunte le altre attività dell’Associazione da me guidata: partecipazione e successiva aggiudicazione di un bando Europeo Grundvig con visite studio e lavoro in diverse carceri europee (progetto per il quale Voci di dentro si è distinto con un giudizio di “molto buono”), aggiudicazione in partenariato del Bando della Regione Abruzzo “Inserimento Lavoro detenuti ed ex etenuti, Progetto Pe.Tra- Percorsi di transizione al lavoro” (2012-2014) che ha permesso l’inserimento in un corso di computer e grafica di una decina di detenuti del carcere di Chieti e l’inserimento in work experience di altri dieci detenuti del medesimo carcere e tutti oggi perfettamente reinseriti nella società, aggiudicazione (sempre in partenariato con altra Ats) di un bando del Miur -Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani -Progetto " Ricominciamo" - Avviso Giovani e Legalità Percorsi di rientro in formazione per minori e giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali e ancora, più recentemente, aggiudicazione di un bando del Ministero delle Pari Opportunità per un progetto contro la violenza di genere da attuarsi con percorsi di studio e lavoro fuori e dentro il carcere.
La necessità di costruire occasioni di lavoro (da considerare che su 60 mila detenuti solo 17 mila lavorano e di questi ben 15 mila alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria con impegno di due-tre ore al giorno e solo 2 mila alle dipendenze di privati) mi ha inoltre spinto a fondare nel 2013 la società Alfachi, cooperativa sociale iscritta all’Albo delle cooperative sociali della Regione Abruzzo, per la digitalizzazione di documenti cartacei. Un progetto partito con l’accordo dell’Istituto penitenziario di Pescara e con la firma di un protocollo con la Provincia di Pescara per la dematerializzazione ed archiviazione informatizzata di atti e documenti dell’Ufficio Ambiente. Centomila sono stati in un anno i documenti trasformati in file grazie al lavoro di una decina di detenuti.
Concludo, mi ero candidato alla importante carica di Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale perché credo in quello che sto facendo, perché la mia nomina sarebbe stata di garanzia massima di imparzialità e di alterità. Per favorire la prevenzione dei conflitti all’interno dei luoghi di detenzione, per mediare tra i diversi soggetti che in quei luoghi operano e il mondo esterno. E per cercare di mettere in rapporto vero tra loro la popolazione detenuta, l’amministrazione penitenziaria e l’amministrazione pubblica contro l’assenza di comunicazione, la discontinuità e la provvisorietà del dialogo. Cose che ho toccato con mano in tutti questi anni. Per questo aspiravo davvero a questo ruolo: per trasformare le ferite in feritoie dalle quali fare uscire persone nuove pronte a cominciare una nuova vita.
Ma sarà per una prossima volta: il mio lavoro, il lavoro di Voci di dentro continua. Per uscire dal carcere. Persone e non ex detenuti.
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